Gli uomini neri

Quando è giunta la notizia che le forze di sicurezza boliviane avevano smantellato una rete terroristica che intendeva uccidere il presidente Evo Morales e il vice presidente Garcia Linera, l’attenzione è andata subito sulla composizione di questa rete. In essa vi compaiono mercenari e neofascisti europei o boliviani di origine croata. Una ricerca più approfondita su quello che appare il “capo” del gruppo liquidato in un hotel di Santa Cruz – da anni regione praticamente in mano alla destra più violenta e reazionaria – porta direttamente a incrociare i dati con i gruppi mercenari e neofascisti che hanno combattuto al fianco dei gruppi fascisti croati nella guerra di secessione che ha insanguinato la Jugoslavia negli anni ’90.

Questi due fattori così lontani geograficamente- Bolivia e Croazia – hanno visualizzato un denominatore comune che coinvolge anche l’Italia e le reti neofasciste che hanno animato la “guerra a bassa intensità” anticomunista dagli anni Sessanta in poi e che oggi godono di posizioni di potere e di risorse assicurate dal nuovo quadro politico italiano. Le forze antifasciste in Italia non possono dunque rimanere indifferenti di fronte alla gravità dei fatti rivelati da quanto accade in Bolivia. Non solo per la simpatia e la solidarietà verso il primo presidente indigeno nella storia recente dell’America Latina e della Bolivia o per il processo democratico e popolare che la nuova Costituzione boliviana sta realizzando. Quanto accaduto in Bolivia concretizza agli occhi dell’opinione pubblica l’esistenza ancora attiva di quella rete terroristica neofascista che ha insanguinato con attentati e stragi anche la storia recente dell’Italia e che ha trovato storicamente rifugio e complicità proprio negli ambienti della destra boliviana che oggi si oppone violentemente al cambiamento democratico in corso in Bolivia.

Chi sono gli uomini neri in Bolivia

La storia di Eduardo Rosza Flores, uno dei tre mercenari uccisi dalle forze di sicurezza boliviane dopo un violentissimo scontro a fuoco, è rivelatrice di scenari inquietanti che collegano i gruppi eversivi in America Latina con reti analoghe anche in Europa.
Eduardo Rosza Flores nasce in Bolivia nel ’60 da padre ebreo comunista ungherese e madre cattolica boliviana, dopo un passaggio in Cile e uno in Svezia, a 14 anni ritorna in Ungheria. A Budapest finisce gli studi e si arruola. Si specializza militarmente in Unione Sovietica, ma dopo meno di due anni si dimette. «Niente di più noioso che fare il soldato in tempo di pace», spiegherà. Vivrà per un periodo in Israele «alla ricerca delle radici».
Nel ’91 Flores era corrispondente per il quotidiano spagnolo Vanguardia e il giornale di Barcellona lo mandò a seguire gli albori del conflitto yugoslavo. Osservò due cose. «Che mi trovavo meglio con i soldati croati che con i miei colleghi» e che «i serbi sparavano deliberatamente sui giornalisti».Si licenziò con un telegramma. E’ entrato a far parte della Guardia Nazionale Croata, diventandone il primo volontario estero. Qualche tempo dopo gli fu affidata la formazione della Prima Unità Internazionale dell’esercito croato. Ottenne il grado di colonnello e per ordine personale del presidente croato Tujman è diventato cittadino della Croazia.

Rosza Flores organizzò la fuga degli ebrei albanesi da un paese ormai in disfacimento. Operazione di certo gradita al Mossad. Più di recente, fu avvistato in Iraq; si presume col ‘gradimento’ della Cia. Di passaporti ne aveva diversi
Eduardo Rózsa Flores ha scritto libri, ed ha girato un film sulla epica lotta contro i “serbi aggressori” (il film si intitola “Chico”). Ma Rózsa è stato silenzioso su alcuni episodi della sua biografia. E’ noto che egli avesse qualcosa a che fare con l’uccisione di due giornalisti – lo svizzero Wurtenberg e il britannico Jenks. Vi erano prove serie, ma “la guerra ha cancellato tutto”.”Nel ’94, trascorsi un paio di giorni con lui – racconta sul Resto del Carlino il giornalista italiano Andrea Cangini – e dopo l’uscita dell’intervista, fummo abbordati da un fotoreporter. Ci mise in guardia. Considerava Flores responsabile dell’assassinio di due giornalisti che indagavano su un traffico d’armi”.

Prima di partire per la Bolivia, intervistato da un giornalista della TV di stato ungherese MTV, Rosza Flores ha detto: “Siamo pronti a dichiarare l’indipendenza della (più riottosa provincia autonoma boliviana) e alla creazione di un nuovo stato”. (1)
Gli altri mercenari uccisi o arrestati hanno una storia meno “clamorosa” ma altrettanto indicativa.
I due mercenari morti insieme a Eduardo Laszlo Flores erano Michael Dweyer (irlandese) e Arpad Magyarosi (ungherese-rumeno). I due arrestati sono Tádic Astorga di origini croate e un altro ungherese-rumeno Elöd Tóásó.
Il giornale Irish Times del 25 aprile, riferisce che l’irlandese Michael Martin Dweyer era arrivato in Bolivia in compagnia di un cittadino rumeno di origini ungheresi. Secondo il Sunday Times costui sarebbe Tibor Revesz che ha soggiornato all’Hotel Asturia di Santa Cruz dal 9 dicembre al 10 gennaio.
L’ungherese Revesz è il fondatore nel 2002 della Loggia Secuiesti (LS), una organizzazione paramilitare che punta alla secessione della regione di Szekely Landa dalla Romania. Nel suo statuto è scritto che “LS è una organizzazione sovrana destinata a formare milizie per difendere i cittadini e non per servire propositi politici che si finanzia con risorse private”. Uno dei fondatori di questa organizzazione è proprio Arpad Magyarosi rimasto ucciso nel blitz della polizia boliviana. Revesz e Dweyer si sono conosciuti come mercenari quando lavoravano nella stessa compagnia la Risk Management Services (I-RMS), a protezione di un gasdotto in Irlanda fortemente contestato dalla popolazione locale e dai gruppi ecologisti.
Grazie a un uomo della sicurezza boliviana infiltratosi nella cellula, sono stati individuati altri due componenti della stessa: Gueder Bruno e Mendoza Mazabi. Gueder Bruno insieme all’infiltrato Ignacio Villa Vargas facevano parte degli apparati di sicurezza della Unione Giovanile Crucenista, protagonista degli episodi di violenza antigovernativa e contro gli indios a Santa Cruz.
I finanziatori di questa rete – alcuni importanti uomini d’affari di Santa Cruz – si sono già rifugiati all’estero tranne l’ex militare in pensione Lucio Anez Rivera. Si tratta di Alejandro Melgar (dirigente della Camera di Commercio, Industria e Turismo di Santa Cruz, collaboratore della organizzazione statunitense Human Rights Foundation e attualmente negli USA); Hurtado Vaca (dirigente della società Telefonica e finanziatore dell’ospitalità a Santa Cruz della cellula terrorista); Lorgio B. A., conosciuto come “Yoyo” possiede tre emittenti radio di Santa Cruz e fa parte del comitato civico “Pro Santa Cruz” che propugna la secessione dalla Bolivia. (2)
Ma se questi sono i pesci al momento finiti nella rete delle indagini, il vero padrone di Santa Cruz e capofila del movimento secessionista contro la Bolivia di Evo Morales è un altro boliviano di origine croata: Branko Goran Marinkovic Jovicevic. Il padre era un ustascia croato fuggito in Bolivia alla fine della Seconda Guerra Mondiale come tanti altri che si servirono della rat line messa a disposizione dai servizi segreti USA in funzione della lotta contro l’Urss. (3)

Branko Marinkovic è accusato di essere diventato uno degli uomini più ricchi del paese fregando le terre abitate dagli indios Guarayno e di pensare ad un modello di secessione di Santa Cruz simile a quello che portò alla secessione della Croazia dalla Jugoslavia.
A Santa Cruz agiscono organizzazioni come l’Unione Giovanile Crucenista (di cui abbiamo parlato ed è agli ordini di Brannko Marinkovic) e la Falange Socialista Boliviana che si ispira al franchismo spagnolo. “Se non ci sarà una mediazione internazionale in questa crisi – annuncia Marinkovic – andremo allo scontro e sfortunatamente ci saranno sangue a paura per tutti”. (4)

Tra operazione Condor e Lega Anticomunista Mondiale. Cos’è la Fondazione UnoAmerica?

Ma nelle relazioni tra la cellula terroristica neutralizzata in Bolivia, emergono anche altre piste che passano attraverso alcuni ex militari della dittatura argentini (conosciuti come “carapintadas”) che per anni hanno ostacolato e minacciato i governi civili emersi dalla fine della giunta militare. Tra questi spicca l’ex militare argentino Jorge Nones Ruiz che manteneva i contatti con il capo militare della cellula terroristica Eduardo Laszlo Flores e agiva in Bolivia con un mandato di altissimo livello: la Fondazione UnoAmerica recentemente costituita (e con l’appoggio della destra europea, Aznar in testa) per contrastare apertamente i governi latinoamericani espressione del Foro di San Paulo (5).
La Fondazione UnoAmerica è stato costituita a metà dicembre dello scorso anno a Bogotà, in Colombia, uno dei pochissimi paesi latinoamericani rimasti alleati con gli USA nel continente. Ad esempio i terminali colombiani della Fondazione UnoAmerica sono la Fondazione di Difesa della Patria e la Federazione Verità Colombia (che trae origine dal Centro di Analisi Sociopolitiche, una “Ong” creata dai militari per contrastare le denunce delle Ong sulla situazione in Colombia). La Fondazione UnoAmerica è finanziata dalle ormai note organizzazioni governative statunitensi come l’USAID e il NED (National Endowment for Democracy) che sono la “facciata sociale” della CIA. Le altre connessioni sono con la Fondazione per l’Analisi Economica e Sociale (FAES) fondata dall’ex primo ministro spagnolo Josè Aznar e con la Fondazione Internazionale per la Libertà presieduta dallo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa convertitosi da anni in un soggetto ultrareazionario. In Italia, al momento, emergono legami solo con i soliti ambienti anticomunisti vicini al misterioso giornale “L’Opinione”. Indicativo è il fatto che nel sito di questa organizzazione gli unici paesi europei che hanno una propria sezione siano proprio Italia e Spagna (6)
La maggiore preoccupazione dichiarata dalla Fondazione UnoAmerica è che “L’America Latina è in pericolo perché esistono 14 paesi latinoamericani che appartengono o sono vincolati al Foro di San Paulo. Benché siano arrivati al potere per la via democratica, costoro stanno distruggendo la democrazia e le libertà come è il caso di Hugo Chavez, Evo Morales, Rafael Correa, Cristina Kirchner e Daniel Ortega”. Obiettivo di questa organizzazione è “creare un meccanismo di scambio, informazione, coordinamento permanente e mutuo appoggio tra i settori democratici”. Secondo alcuni osservatori è la versione rimodernata della micidiale Operazione Condor che coordinò le dittature militari negli anni ’70 e che fu creata per affrontare quella che veniva denominata “insorgenza sopranazionale” (7).

Secondo altre fonti questa rete richiama più da vicino la CAL (Lega Anticomunista Latinoamerica affiliata alla WACL, la Lega Anticomunista Mondiale) formata da gruppi neofascisti e di destra. Al congresso della CAL in Paraguay nel 1977 c’era anche Giorgio Almirante. A quello del 1979 a Buenos Aires partecipò sicuramente Stefano Delle Chiaie che insieme al Battallon 601 dell’intelligence dell’esercito argentino, stava preparando il colpo di stato di Garcia Meza in Bolivia che avvenne l’anno successivo.

Bolivia, Croazia, Italia e reti neofasciste

Come abbiamo visto, contro i governi progressisti dell’America Latina si stanno rimettendo in moto diverse reti che hanno già sperimentato la loro sanguinaria attività nella guerra fredda. Gli “uomini neri” che si sono prestati a tutto campo nella “guerre di bassa intensità” in America Latina come in Europa, si stanno riattivizzando per impedire la sperimentazione e la crescita di un progetto socialista nel XXI° Secolo.
Quanto è coinvolta l’Italia in questo risveglio degli “uomini neri” dormienti? Le stragi fasciste, il ruolo di Gladio, la funzione dei gruppi neofascisti contro la sinistra e i movimenti, il “noto servizio” etc. è tutta acqua passata – visto che il progetto neofascista in qualche modo oggi si esprime a livelli di governi centrale e locali – oppure questo attivismo merita la dovuta attenzione?
Quando sentiamo parlare di Bolivia possiamo non rammentare che quel paese è stato il rifugio di neofascisti “pesanti” come Stefano Delle Chiaie o Pierluigi Pagliai? Il primo collaborò al colpo di stato del 1980 del gen. Garcia Meza e ne divenne collaboratore insieme a Klaus Barbie, l’ex capo della Gestapo di Marsiglia. Il secondo fu ferito a La Paz il 9 ottobre 1982 e riportato in Italia – nel quadro dell’operazione Marlboro/Pall Mall dei servizi italiani – contro la sua volontà. Morì pochi giorni dopo in un ospedale romano. Il consulente del giudice Salvini, Aldo Giannuli, racconta che sull’aereo italiano espressamente inviato in Bolivia c’erano praticamente rappresentanti di tutti i servizi segreti e gli apparati di sicurezza italiani. Stefano delle Chiaie si sottrasse all’arresto attraversando il confine tra Bolivia e Argentina in compagnia di un uomo del Battallon 601 dell’Esercito Argentino.
Ma le connessioni tra i neofascisti italiani e la Bolivia sono tornate alla luce anche recentemente e proprio in occasione dei violenti pogrom contro gli indios e i funzionari governativi avvenuti sempre a Santa Cruz, il “cuore nero della Bolivia” (8).
Più di qualche testimonianza afferma di aver visto tra i killer che ammazzarono a settembre del 2008 un gruppo di indios nella località di El Porvenir, Marco Marino Diodato, un noto neofascista italiano rifugiatosi in Bolivia negli anni ’80 e oggi più che cinquantenne.
Diodato in Bolivia si è sposato con una nipote del generale golpista Hugo Banzer, era diventato un uomo d’affari e un consulente militare in quanto ex paracadutista. Nel 1994/95 mette in piedi ua organizzazione paramilitare la FRIE (Forza di Reazione Rapida dell’Esercito)
Nel 1999 fu arrestato per una serie di truffe e condannato a dieci anni ma nel 2004 riuscì a “fuggire” dalla clinica Bilbao di Santa Cruz dove era riuscito a farsi ricoverare. Oggi lo segnalano come consigliere di Leopoldo Fernandez, governatore di Pando (un’altra delle regioni secessioniste che si oppongono al governo boliviano di Evo Morales) arrestato con l’accusa di essere il mandante proprio del massacro degli indios a El Porvenir (8)
Ma il vero crocevia di questa rete sembra essere la Croazia e la comune esperienza accumulata nella guerra civile secessionista in Jugoslavia durante gli anni Novanta. In quel conflitto, fascisti italiani, slavi, francesi, tedeschi etc si ritrovarono insieme nelle milizie paramilitari fasciste del Partito del Diritto Croato (HOS).
La Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle stragi, a cavallo tra il 2000 e il 2001, chiese al Ministero degli Interni e al ROS dei Carabinieri l’acquisizione dei “Dossier balcanici” contenenti una ventina di nomi di neofascisti che avevano combattuto in Croazia e Bosnia durante la guerra civile che dilaniò la Jugoslavia negli anni ’90. (9)
In quelle settimane si stava indagando sull’attentato dinamitardo contro Il Manifesto che portò al ferimento e all’arresto dell’attentatore – il noto neofascista Andrea Insabato. Quest’ultimo, nel 1991 aveva promosso l’arruolamento in Italia di mercenari disposti ad andare a combattere per “la sorella Croazia che ora ha un nemico più grande. Si deve difendere dai serbi e dai comunisti”. Per la polizia c’erano almeno una trentina di neofascisti esperti di esplosivi e una ventina di loro aveva combattuto in Jugoslavia. (10)
Il sito antifascista francese “Reflex” riferisce che neofascisti francesi, italiani e tedeschi, furono integrati in Croazia e Bosnia nella “Legione Nera”, derivazione balcanica messa in piedi dall’organizzazione fascista francese Nuova Resistenza nell’estate del 1991, ossia nello stesso periodo dell’arruolamento avviato da Andrea Insabato e dal suo gruppo “Rinascita Nazionale”. Ma se il progetto di Insabato si arenò – il suo progetto era una sorta di linkage con la destra croata che prevedeva l’aiuto militare italiano in cambio delle zone croate rivendicate dall’Italia – i fascisti italiani rimasero lo stesso a combattere nelle milizie paramilitari in Croazia e Bosnia contro serbi e musulmani (11).
In quel contesto si ritrovarono insieme un vasto raggruppamento di “uomini neri” non solo dell’Europa occidentale ma anche ungheresi, rumeni, ultracattolici irlandesi, personaggi del tutto simili a quelli che abbiamo trovati coinvolti nella vicenda boliviana.
Un ruolo centrale nel finanziamento dei gruppi fascisti nei Balcani, chiama in causa quella che possiamo definire la “Holding nera” cioè il complesso impero finanziario messo in piedi in Gran Bretagna da Fiore, Morsello e dai fuoriusciti neofascisti che gravitavano intorno a Terza Posizione e che oggi animano la più forte tra le organizzazioni neofasciste italiane: Forza Nuova.
Varie fonti britanniche – sia antifasciste che giornalistiche – segnalano l’impetuosa crescita finanziaria delle attività gestite in Gran Bretagna dal leader di Forza Nuova, Roberto Fiore. Ma segnalano anche come questa attività dei neofascisti italiani abbia potuto godere della copertura dei servizi segreti britannici Mi 6(copertura acquisita nei campi di addestramento dei falangisti in Libano) (12).

Le più note società che fanno capo ai neofascisti italiani in Gran Bretagna sono le agenzie turistiche Easy London e i circa 1.300 negozi della catena Meeting Point. . «Altre importantissime fonti di finanziamento del movimento sono due organizzazioni ultra cattoliche, che fin dagli inizi della latitanza hanno offerto a Fiore e Morsello protezione, ma soprattutto danaro, sono la St.George Educational Trust e la St.Michael Arcangel Trust, vale a dire enti per la promozione degli insegnamenti della chiesa cattolica. Della prima – afferma l’autore del libro “Trame Nere” Giuseppe Scaliati – Fiore è amministratore ed è direttamente collegata alla St.George League, un piccolo e ricchissimo gruppo nazista in contatto con personaggi e fondi delle ex SS; la seconda, al pari della prima in quanto a ricchezza, prende il nome dall’Arcangelo Michele, santo patrono dei miliziani della Guardia di ferro del leader fascista rumeno Corneliu Codreanu». E’ inquietante il nome scelto. Infatti dietro un rassicurante e molto cristiano nome come quello dell’Arcangelo Michele agiva proprio la Legione dell’Arcangelo Michele nella Romania fascista degli anni trenta e quaranta. E in tempi più recenti (il 2004) i fascisti rumeni di Noua Dreapta hanno fatto parte del coordinamento neofascista europeo messo in piedi da Forza Nuova con NDP (Germania); Noua Dreapt (Romania); Alleanza Patriottica (Grecia) e La Falange (Spagna). Mentre ne fanno parte semplicemente come affiliati: Renouveau Francais (Francia); Partido Nacional Renovador (Portogallo); Nationale Alliantie (Olanda) e Alleanza Nazionale Bulgara (Bulgaria).

Ma non è tutto, un‘altra inchiesta giornalistica porta alla luce l’esistenza del “Gruppo dei Quaranta”. Il gruppo che utilizza anche i fondi della “Third Position International” doveva acquisire un intero paese in Spagna per farne una sorta di zona liberata nera. “Le tracce del gruppo” scrive Guido Olimpio, l’esperto di intelligence del Corriere della Sera “sono state individuate nella ex Jugoslavia, in Italia e ovviamente in Gran Bretagna. Usando come copertura ditte e società, i neonazisti hanno arruolato lo scorso anno volontari da inquadrare nelle unità paramilitari della milizia croata HOS. Aiuti alla fazione sono stati inviati da Third Position International che ha patrocinato raccolte di denaro “in favore dei bambini croati”. Ed ancora “E’ probabile che attraverso il centro di reclutamento i neofascisti siano riusciti a raccogliere miliziani dell’ultradestra europea disposti a dar manforte ai camerati croati”. Sempre secondo Olimpio, il terminale italiano del “Gruppo dei Quaranta” è una rete che raccoglie i resti di varie formazioni (neofasciste, NdR) come i NAR, Ordine Nuovo e Terza Posizione (14).

La “sicurezza dei cittadini” come schermo della rete degli “Uomini neri”

Connettendo insieme questi pezzi, emerge un quadro che in Italia – e non solo in Bolivia e America Latina – nessuno farebbe bene a sottovalutare. La rete degli “uomini neri” che hanno combattuto tutte le guerre sporche della “lotta al comunismo”, appare piuttosto attiva, ben finanziata e organizzata. Le relazioni tra gli uomini neri in America Latina, Croazia, Italia etc. appaiono molto strette tra loro e ancora attrezzate per intervenire lì dove nuove campagne li chiamino in attività per i loro servigi: ieri in Jugoslavia, oggi in Bolivia, magari sotto il volto rassicurante di Ong o di una organizzazione religiosa europea (15).
E’ emblematica la similitudine tra gli obiettivi della FIER costituita dal fascista italiano Diodato in Bolivia (“proteggere i cittadini dai narcotrafficanti) con la Loggia Secuiesti di Arpad Magyarosi e di Tibor Revesz in Romania (“La LS è una organizzazione sovrana destinata a formare milizie per difendere i cittadini e non per servire propositi politici che si finanzia con risorse private”) e il progetto per l’Italia elaborato in Gran Bretagna dai leader Forza Nuova. In Italia uno degli obiettivi è quello di “dar corso ad azioni di contrasto alla micro e macrocriminalità e allo spaccio di stupefacenti, mediante la formazione di gruppi di tipo paramilitare non armati che dovrebbero operare dopo aver acquisito il necessario consenso della cittadinanza”. Obiettivi così e parole del tutto simili le stiamo verificando da mesi nell’agenda politica del nostro paese.

Fonti:

(1) Andrea Cangini su “Il Quotidiano nazionale/Resto del Carlino” del 21 aprile 2009 ma anche Nik Nikandrov in http://en.fondsk.ru/article.php?id=2111 tradotta in italiano da http://www.bollettinoaurora.da.ru e pubblicata nella newsletter del Coordinamento per la Jugoslavia dell’11 maggio “Balkan Connection en Bolivie”

(2) http://www.laprensa.com.bo/noticias del 10 maggio 2009

(3) La Rat Line o sentiero dei topi fu la via di fuga che i servizi segreti USA e il Vaticano organizzarono nell’immediato dopoguerra per far fuggire in America Latina e Spagna i criminali nazisti e i loro collaboratori italiani, francesi, jugoslavi, polacchi, ucraini, rumeni etc. Snodo fondamentale della Rat Line era Genova

(4) New York Times del 26 settembre 2008

(5) Il Foro di San Paulo è il forum annuale della sinistra latinoamericana fondato nel 1990 nella città brasiliana e che è stato l’incubatoio dei processi di cambiamento popolare e democratico in tutto il continente.

(6) Vedi il sito della Fondazione: www.unoAmerica.org. Nel sito – nella sezione italiana – compare una intervista di uno dei maggiori commentatori de “L’Opinione” – Dimitri Buffa – al neofascista venezuelano Alejandro Pena Esclusa in visita in Italia. L’Opinione conta tra i suoi editorialisti anche il neofascista Giusva Fioravanti fondatore dei NAR, autore di numerosi omicidi e condannato per la strage alla stazione di Bologna

(7) Bruno Matapay in Virtin/Red Informativa del 24 aprile 2009

(8) Maurizio Chierici. Il nodo Bolivia, su l’Unità del 14 maggio 2008

(9) La Repubblica del 19 settembre 2008. Vedi anche l’inchiesta di www.selvas.org “Il caso Diodato”, l’italiano più famoso in Bolivia e l’inchiesta di Wilson Garcia Merida tradotta e pubblicata su: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=6084&lg=it

(10) Gianni Cipriani, Il Nuovo 23 dicembre 2000/ Indymedia Lombardia

(11) Atti della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle Stragi, seduta di martedi 9 gennaio 2001

(12) Sia il sito antifascista “Searchlight” sia The Guardian pubblicarono ampi servizi su questo

(13) Giuseppe Scaliati, “Trame Nere”, edizioni Frilli 2005

(14) Guido Olimpio, in Corriere della Sera del 24 novembre 1997

(15) “Inside the League: The Shocking Expose of How Terrorists, Nazis, and Latin American Death Squads Have Infiltrated the World Anti-Communist League”, by Scott and Jon Lee Anderson, 1986, http://www.namebase.org/sources/HB.html

L’articolo è in uscita sul prossimo numero di Contropiano