Nelle trattative per la Costituzione, il ruolo dei sunniti.
Rimasti fuori dal parlamento provvisorio per il loro rifiuto a partecipare ad elezioni sotto occupazione, ritenute per questo illegittime, gli esponenti della comunità sunnita si preoccupano adesso di non essere tagliati fuori anche dal processo di formazione della nuova Costituzione dell’Iraq, che dovrebbe essere messa a punto entro il 15 agosto per essere successivamente sottoposta a referendum.
I condizionali sono ovviamente d’obbligo, perché tutto il processo è subordinato agli sviluppi della situazione sul terreno, con la resistenza armata che dall’insediamento del governo in poi ha nettamente intensificato le sue operazioni. Ieri comunque circa centocinquanta esponenti sunniti si sono riuniti a Baghdad per chiedere una adeguata rappresentanza nella commissione parlamentare incaricata di redigere la Costituzione; e questo anche se il Consiglio degli ulema – massima autorità spirituale della comunità – mantiene la posizione di boicottaggio del processo politico finché ci sono sul suolo iracheno le forze straniere di occupazione. Sembrerebbe dunque una frattura, o quanto meno una divergenza, in seno alla comunità sunnita; ma forse non è così, e in tal caso si tratterebbe piuttosto di un gioco delle parti, con una assunzione di ruoli diversi che consente di mantenere ferme le posizioni strategiche e di principio, ma di far sentire comunque il proprio peso in una sfera – quella politico-istituzionale – che interessa il futuro della comunità.
Alla riunione di Baghdad erano presenti esponenti del partito islamico (che non aveva partecipato alle elezioni), personalità indipendenti e capi-tribù; sono state espresse posizioni sia procedurali che di merito, sintetizzate alla fine da Adnan Doulaimi, responsabile del Waqf (la fondazione islamica per opere di carità e assistenza). E’ stato così chiesto che nella commissione costituzionale, composta di 69 membri, i sunniti siano portati dai 13 previsti ad almeno 25, da scegliere fra 40 nomi che saranno resi noti domani; per quanto riguarda invece i principi che vengono considerati indispensabili per la nuova Carta, Doulaimi li ha così indicati: unità del popolo iracheno e integrità territoriale del paese (quindi implicitamente “no” a uno Stato federato curdo); appartenenza alla Nazione araba; indicazione dell’Islam come religione dello Stato, con esclusione di qualsiasi norma che gli sia contraria; uguali diritti per tutte le minoranze etniche e religiose. Si tratta, come si vede di punti ben precisi, sui quali non è difficile prevedere il dissenso ad esempio dei dirigenti curdi, che proprio ieri – nella persona del presidente Jalal Talabani – hanno polemizzato con il Consiglio degli ulema per la sua accusa alle Brigate Badr, milizia del principale partito islamico (lo Sciri), di essere responsabili degli omicidi di religiosi sunniti; Talabani ha definito le Brigate Badr e i “peshmerga” curdi come “i figli fidati dell’Iraq”, in chiara contrapposizione con i gruppi della resistenza sunnita. Il che non deve tuttavia far trascurare la notizia – riferita da un esponente sunnita e da un anonimo funzionario americano – secondo cui sarebbero in corso contatti “discreti” con due gruppi di resistenza – l’Esercito islamico in Iraq e l’Esercito dei mujaheddin – per una loro eventuale partecipazione al processo politico: una notizia da prendere con le molle e che potrebbe anche essere solo un pio desiderio di Jaafari e degli americani, ma la cui circolazione è comunque significativa. Per ora comunque la resistenza continua; nelle ultime 24 ore sono stati uccisi in diversi attacchi quattro soldati americani; a Baquba è stato ucciso un interprete che lavorava per gli Usa; attentati ci sono stati ancora a Baquba e a Baghdad; e nella regione occidentale, presso il confine con la Siria, sono stati sequestrati da un gruppo armato 22 soldati della Guardia nazionale.