Gli obiettivi occulti della militarizzazione del Sahel

da Rebelion.org – www.rebelion.org/noticia.php?id=119081
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

22/12/2010

[Estratto]

Nel Sahel i sequestri si moltiplicano; dopo la liberazione dietro pagamento del riscatto di P. Camatte, Michel Germaneau, al contrario, è morto in seguito ad un attacco militare franco-mauritano in territorio Mali, stando alla stampa africana (algerina, del Mali, ecc.) in circostanze poco chiare. Altri sette sono stati sequestrati in Niger. Ogni sequestro ha fornito il pretesto per un incremento della presenza militare francese, ora rinforzata da reparti d’élite e dalla tecnologia spaziale di vigilanza statunitense. (…)

Niger: una neocolonia della Franciafrica [1] che fornisce il 40% dell’energia consumata in Francia.

Il Niger ha una superficie di 1.267.000 km2, cioè 2,3 volte la Francia; 13,5 milioni di abitanti di cui più del 60% vive in povertà estrema, priva di accesso a strutture sanitarie e scolastiche (il 71% delle donne è analfabeta). La speranza di vita è di 43 anni.

Come la maggior parte dei popoli africani, negli anni 80 quello nigeriano ha sofferto i tormenti dettati dal FMI e dalla Banca Mondiale che lo hanno obbligato a rimborsare un debito ingiusto e a svendere tutte le aziende nazionali, privatizzate dopo la svalutazione del franco coloniale, il Cfa, prima legato al franco, ora all’euro.

Adesso il Niger è all’ultimo posto dei 182 paesi classificati nell’Indice di sviluppo umano dell’ONU, con il valore di 0,340, preceduto dall’Afghanistan (n.181) in guerra contro l’esercito occidentale, Sierra Leone (n.180), la Repubblica Centroafricana (n.179), Mali (n.178) e Burkina Faso (n.177).

Il saccheggio di Areva [2] nel paese è facilmente smascherabile: “Secondo le nostre stime, dal 1960 il Niger ha prodotto 100.000/150.000 tonnellate d’uranio a un prezzo medio di 27.300 Cfa al chilogrammo (187 euro). Si può dire, quindi, che la vendita di uranio nigeriano ha prodotto tra 4.200 e 6.300 milioni di euro. Se il prezzo applicato fosse stato quello internazionale gli azionisti (lo Stato e i suoi soci) si sarebbero ripartiti 18.700/28.000 milioni di euro. (…) ” (Mondialisation.ca)

Per arrivare fin qui fu necessario reprimere ed eliminare alla vigilia dell’indipendenza, il 3 agosto 1960, il patriota panafricanista Djibo Bakary dell’Unione Democratica Africana (RDA) che aveva l’appoggio dei progressisti Kwamé Nkrumah, Sékou Touré e Abdou Moumouni, uno dei fondatori marxisti leninisti del Partito Africano dell’Indipendenza (PAI).

La strategia dell’occupazione militare del Sahel

Como dichiarava un documento del Consiglio statunitense degli Esteri nel 2005, “Alla fine di questo decennio, l’Africa sub-sahariana può diventare per gli USA una fonte d’importazioni energetiche importante come il Medio Oriente. L’occidente africano avrà circa 60.000 milioni di barili di riserve petrolifere accertate”. Gli insuccessi delle guerre predatorie di USA e Unione europea in Afghanistan e Iraq portavano a progettare il controllo sul petrolio africano, e le importazioni statunitensi di petrolio proveniente dal Golfo di Guinea passavano dal 15 al 20% nel 2010, fino alla previsione del 25% nel 2015.

Pertanto, dal 2003 è stata lanciata una campagna contro il terrorismo nell’occidente africano e nel marzo 2004 le forze speciali statunitensi si sono impegnate direttamente in un’operazione militare con i paesi del Sahel contro il gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, che figura nella lista delle organizzazioni terroristiche di Washington. Il comando statunitense per l’Europa sta sviluppando un programma di sicurezza costiera nel Golfo di Guinea chiamato “La Guardia del Golfo di Guinea”. Gli USA prevedono pure la costruzione di una base militare navale a Sao Tomé e Principe che potrebbe rivaleggiare con la base di Diego García dell’Oceano Indiano. (…)

“L’Operazione Flintlock (Pedernal), una manovra militare, nel 2005 ha coinvolto circa 1.000 uomini delle forze speciali statunitensi. (…) Nell’area il comando militare USA per l’Europa ha già stabilito centri operativi avanzati in Senegal, Mali, Ghana, Gabon, Namibia. (…) Stati Uniti e Unione europea hanno creato AFRICOM, il comando militare per l’Africa ora con sede in Germania. Se si osserva meglio, l’aumento di sequestri nell’area è una strategia di “manipolazione di massa”, parafrasando Noam Chomsky, che consiste nel “creare problemi e dopo offrire soluzioni”, col fine di preparare gli interventi militari degli imperialisti statunitensi, europei e francesi nel Sahel, e così ampliare il controllo delle aziende monopoliste di quei paesi.

Contro la cooperazione con la Cina

Si noti che la Cina – divenuta la fabbrica del mondo – e l’Asia, drenano il 60% del commercio mondiale; lo Stato somalo è stato liquidato da un’invasione militare statunitense e i piccoli pescatori del Corno d’Africa e del Mar Rosso, per sopravvivere, si sono convertiti in “sequestratori”. Nel Golfo di Guinea la lotta pacifica contro gli inquinatori e distruttori dell’ambiente, che si chiamano BP, Shell o Total, hanno assunto la forma di “sequestri”. L’indebolimento del capestro del FMI sull’Angola, gran produttrice di petrolio, grazie a un prestito cinese di 4.000 milioni di dollari a interesse molto basso, è stato seguito dall’attentato che è costato la vita alla squadra di calcio del Togo, per cercare di svegliare il movimento secessionista di Cabinda.

Sono coincidenze o ci sono relazioni col fatto che le materie prime e il petrolio che servono alla Cina per il suo sfolgorante sviluppo l’hanno trasformata nel primo socio commerciale e il primo investitore in Africa?

Lenin diceva, durante la prima guerra mondiale imperialista nel 1915, che l’imperialismo ha sviluppato le forze produttive fino al punto che l’umanità può solo passare al socialismo, oppure patire anche decenni di guerra delle grandi potenze per il mantenimento artificiale del capitalismo con l’aiuto delle colonie, monopoli, privilegi e oppressioni nazionali di ogni tipo. (Il socialismo e la guerra).

(…) Dopo l’attacco alla Serbia per smantellare la Yugoslavia nel 1999, la strumentalizzazione mediatica e politica degli attentati dell’11 settembre 2001 è servita per passare concretamente a questo progetto mediante l’occupazione coloniale prima dell’Afghanistan, poi dell’Iraq nel 2003, e la costruzione di basi nelle ex repubbliche sovietiche. Controllare le materie prime strategiche, specialmente il petrolio e il gas, per mantenere la dipendenza di eventuali rivali e con essa mantenere l’egemonia mondiale, è l’equazione che deve risolvere l’imperialismo statunitense. Lo conferma il senatore David L. Boren, che fu presidente della commissione incaricata dello spionaggio: “Abbiamo avuto rapporti divergenti e simbiotici con l’URSS. (…) Il declino dell’Unione Sovietica … potrebbe anche produrre il declino degli Stati Uniti. (…) I paesi europei, il Giappone e altri paesi hanno accettato volontariamente la leadership statunitense negli ultimi decenni. Perché? Perché hanno bisogno di noi. (…) In questo nuovo contesto continueranno ad accettare la direzione degli USA? Non credo”. (Le Monde Diplomatique, aprile 1991). (…)

Una soluzione panafricana per i problemi dell’Africa

La colonizzazione militare del Sahel si è recentemente manifestata con l’attacco franco-mauritano in territorio del Mali senza avvisare il governo di quel paese. Le informazioni rivelano che la Banca Africana per lo Sviluppo partecipa al finanziamento di AFRICOM, la macchina d’intervento della NATO in Africa in cui gli eserciti africani svolgono il ruolo di “tirailleurs” [3], come in epoca coloniale. Le neocolonie africane dirette dalle borghesie compradore liberali o socialdemocratiche si comportano come proconsoli della Franciafrica, Eurafrica e Usafrica. (…)

L’inesistenza dì una politica panafricana fondata sui principi democratici della libera autodeterminazione dei Tuareg e la libera unione dei popoli liberi africani creano una situazione esplosiva in tutto il Sahel. In questo contesto globale le forze patriottiche e panafricane di sinistra devono elaborare un programma e sviluppare un’azione antiliberale e antimperialista. In questa prospettiva, i fori mondiali dei popoli, in particolare Bandiagara nel Mali e gli altri fori sociali africani e mondiali devono trasformarsi in spazi di mobilitazione panafricana e internazionalista contro i movimenti destabilizzanti e colonialisti degli imperialisti. (…)

Gli eserciti sconfitti sono una buona scuola, diceva Lenin. Così ora, nella lotta per una seconda decolonizzazione, la sinistra rivoluzionaria panafricana, antiliberale e antimperialista onora i suoi predecessori e dell’unione panafricana dei popoli liberi d’Africa, che furono assassinati e vinti dall’imperialismo, la colonizzazione e il suo veleno fatale: “l’etnicismo”, nel corso della prima fase della decolonizzazione tra il 1945 e il 1960 .

Fonte: http://www.mondialisation.ca/index.php?context=viewArticle&code=FOD20101215&articleId=22420

NdT:
1. “Franciafrica” è il termine che si usa per indicare la politica neocoloniale francese in Africa. “La Franciafrica è stato lo strumento di una politica egemonica francese nelle sue colonie, un’egemonia che in seguito si è estesa ad altri paesi non francofoni”.
2. Areva (ex Cogema) è una multinazionale francese che opera nel campo dell’energia, specialmente quella nucleare. Lo stato francese possiede più del 90% del capitale azionario. (wikipedia)
3. Tirailleurs, persone delle colonie arruolate nell’esercito francese