Gli errori di Fazio

L’unica cosa certa è che Fazio si è dimesso. Troppo tardi nel sentire comune e per il bene di Bankitalia che anche ai tempi del fascismo era riuscita a conservare autonomia e autorevolezza. Fazio se ne va: è giusto. Ma i veri problemi si aprono ora: per il potere politico mettere le mani su Bankitalia con un uomo di paglia, significa poter intervenire nei giochi economici di un futuro sempre più proiettato verso le grandi concentrazioni finanziarie e sullo strapotere delle banche. Circolano varie ipotesi per la successione. Nomi esterni alla banca (candidati esterni alle istituzioni europee, come a quelle nazionali). Persone in generale «vecchie»; buone per tutte le situazioni e inserite in una logica di lottizzazioni. Invece Bankitalia ha bisogno solo di una cosa: riprendere la sua vita normale con persone capaci. E all’interno della banca ce ne sono. Perché la struttura, anche se umiliata è ancora intatta. Per Berlusconi «nessun dubbio sull’onestà di Fazio». I dubbi li può sciogliere solo la magistratura. Fazio è convinto di essere innocente e per questo è rimasto attaccato alla poltrona fino a quando ha potuto. Poi ha sentito disgregarsi dall’interno la sua legittimità e si è reso conto che il Consiglio superiore di Bankitalia oggi poteva trasformarsi nel suo «gran consiglio». E ha mollato.

Ma forse le colpe di Fazio sono altre. Non la caduta di stile di telefonare di notte al diretto interessato per comunicargli l’autorizzazione all’Opa. E neppure la questione dei regali di valore che Fiorani annualmente gli inviava. La vera colpa di Fazio è un altra: aver tentato di smantellare progressivamente la banca, centralizzando tutte le decisioni presso si sé secondo un modello mutuato dalla politica, nel quale conta solo il leader e la tv è più importate dei contenuti. Il riferimento non è solo all’autorizzazione alla scalata di Fiorani all’Antonveneta presa contro il parere di due suoi ispettori centrali. Il tutto con la pretesa di fare politica in modo apparentemente distaccato, facendosi forte dell’essere un tecnico. Così abbiamo assistito a esternazioni che francamente non avremmo mai voluto sentire. Nel 2001 Fazio diede il benvenuto al nuovo governo Berlusconi, parlando di un «nuovo miracolo economico possibile». Non si rese conto che il mondo stava precipitando nella più grave crisi del dopoguerra e che l’Italia navigava a vista, senza una politica economica credibile. Risultato: perdita di competitività, deindustrializzazione, cinque anni di pil prossimo allo zero. Ma non basta: Fazio più volte ha invaso il campo della politica chiedendo lo smantellamento dello stato sociale.

Fazio è stata la prima vittima dell’euro: il passaggio della gestione della moneta a Francoforte l’ha privato del suo più grande potere. E quindi ha invaso il campo della politica e ha cercato di accentuare il protagonismo nel sistema bancario. Come i predecessori credeva di poter esercitare il proprio potere solo con la forza della moral suasion, ma si è attirato nuove antipatie bloccando scalate che avevano logica economica. Fazio, invece, non si è accorto che la battaglia per la conquista del potere si faceva sempre più sporca; che la posta in gioco (sembra una replica della P2) non era solo l’Antonveneta, ma anche Mediobanca, le Assicurazioni Generali, il Corriere della sera. Cioè la grande finanza e la grande informazione che nel declino della democrazia e con l’avvento del partito azienda diventano gli strumenti fondamentali per la conquista del potere. L’essere forse innocente rispetto alle colpe addebitategli, non riduce le sue responsabilità.