Gli arabi-israeliani hanno più paura:«E’ come Haider»

Al telefono da Bruxelles, dove si trova in visita per qualche giorno, Jaffar Farah, direttore del Mossawa Centre, il centro per i diritti dei cittadini arabi d’Israele, commenta l’ingresso del governo Olmert di Avigdor Lieberman, nuovo ministro incaricato di seguire le minacce strategiche che incombono su Israele e vice primo Ministro con diritto di presiedere alle riunioni del consiglio di sicurezza ristretto.
«La decisione di Olmert che consente l’ingresso nell’esecutivo a Lieberman è in contraddizione le prospettive di pace o di rispetto dei diritti umani, in particolare quelli delle comunità arabe dello Stato di Israele». Secondo il direttore del Mossawa Centre la svolta a destra dell’attuale governo israeliano, operata, in nome di una maggiore governabilità del paese, creerà maggiore discriminazione nei confronti dei cittadini arabi. «Credo che la comunità ebraica debba opporsi alla scelta di Olmert. In ogni altro paese uno come Lieberman sarebbe considerato un fascista. Uno Stato che condanna Le Pen ed Haider non può includere nel governo uno come lui».

Da ministro delle infrastrutture del governo Sharon, Lieberman dichiarò nel 2004 «gli arabi d’Israele dovrebbero essere espulsi». Quest’anno, probabilmente forte di un risultato elettorale che a marzo scorso ha assegnato al partito da lui fondato, Israel Beiteinu, “Israele la nostra terra”, 11 seggi alla Knesset avendo ottenuto l’8,98% dei consensi, ha addirittura dichiarato durante un dibattito parlamentare (4 maggio), che parlamentari arabi del parlamento israeliano che hanno rapporti con Hamas o che non festeggiano il giorno dell’Indipendenza dello Stato d’Israele dovrebbero «essere uccisi». Olmert dovette allora intervenire, dichiarandosi pubblicamente certo che i membri della Knesset, sia arabi che ebrei, agivano nell’interesse del paese.

Gli arabi costituiscono il 20% della popolazione dello Stato d’Israele. A differenza di cittadini come Avigdor Lieberman, arrivato nello Stato ebraico dall’allora Unione Sovietica (Moldavia) nel 1978, gli arabi-israeliani abitavano ad Haifa, Jaffa, Lod (che in arabo si chiamava Lidda) ed in numerosi villaggi di cui non rimane traccia, da prima della fondazione dello Stato d’Isarele nel 1948. La maggior parte degli arabi israeliani si definisce palestinese, dati anche i legami familiari tra cittadini arabi recanti passaporto israeliano e gli abitanti dei territori palestinesi occupati. La maggioranza è composta da musulmani sunniti, ma vi sono anche drusi e cristiani. Per Lieberman questi cittadini dovrebbero ricongiungersi ai palestinesi dei territori, a meno di non mostrare piena lealtà allo Stato d’Israele.

Gli arabi-israeliani, pur sentendosi palestinesi intendono restare cittadini dello Stato d’Israele, ma preferirebbero non farvi parte in quanto cittadini di seconda categoria. «Siamo per l’esistenza prima della coesistenza» è una frase che ricorre tra i giovani frequentatori dei caffé arabi del centro di Haifa, per sottolineare la discriminazione di cui sentono il peso.

La ferita aperta con la repressione della polizia nel 2000 contro le manifestazioni (a cui presero parte grande prevalenza arabi) seguite alla famosa “passeggiata” di Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee (28 settembre 2000), che accese la scintilla della seconda Intifada, e che provocò la morte di 13 arabi, (12 cittadini israeliani e un abitante dei territori occupati), ed il ferimento di diverse decine di persone, si è ulteriormente incancrenita durante la guerra del Libano (in totale i cittadini arabo-israeliani uccidi dalle forze di sicurezza dal 2000 ad oggi sono 32). Di fronte ad una popolazione schierata in maniera massiccia a favore del governo e dell’offensiva Libano, i cittadini arabi dello Stato ebraico si sono trovati ad essere vittime due volte. Dei Katiusha di Nasrallah, che hanno ucciso bambini arabi a Nazareth, famiglie nei villaggi dell’alta Galilea, come gli abitanti del quartiere arabo di Wadi Nisnas ad Haifa, e di una stigmatizzazione interna che li vedeva come “cospiratori con il nemico” per il fatto di essere arabi. Gli arabi, a meno di essere drusi, non possono servire nell’esercito israeliano.

Le discriminazioni di cui sono vittima i cittadini arabi di Israele vengono denunciate puntualmente ogni anno da associazioni come il Mossawa Centre e l’Adalah (centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele).

Secondo dati diffusi in un rapporto del Mossawa Centre quest’anno, durante gli ultimi 58 anni, la comunità araba d’Israele è stata vittima, in maniera progressiva di ingiustizia sociale ed economica e di discriminazioni di vario tipo. I cittadini arabi-israeliani sono sottorappresentati negli uffici governativi (6%). Hanno accesso limitato alle allocazioni del budget statale (5% nel 2005), ma soprattutto si vede negato il diritto al possedimento di terra (il 3,5% delle terre dello Stato d’Israele è di proprietà di cittadini arabi).

Senza considerare le demolizioni di case dei beduini del Negev o di quartieri periferici di città come Lod (vicinino Tel Aviv), dove, durante il periodo delle scorse elezioni, alcuni cittadini arabi ci hanno mostrato case con superfetazioni simili a baracche spiegandoci di non avere i permessi per costruire, di non avere case assegnate dallo Stato e di temere per la demolizione delle estensioni abusive. Gli stessi cittadini non possono fare a meno di notare i casermoni costruiti dai governi israeliani che si sono succeduti negli ultimi dieci anni per fare posto ai nuovi cittadini dello Stato d’Israele provenienti dalla ex Unione Sovietica. Come Lieberman.