Il ministro della giustizia americano Alberto Gonzales ha ammesso ieri di aver compiuto degli errori nell’allontanare dal loro incarico otto procuratori. Ha anche dichiarato di assumersene la responsabilità, ma nonostante questo non si dimetterà, anche se da più parti è stato sollecitato a farlo. Quei licenziamenti erano comunque giusti, ha detto nel corso di una conferenza stampa. L’unica testa a saltare nell’ennesima storia di bugie e sfregio istituzionale dell’ammnistrazione Bush è stato il solito capro espiatorio, il capo dello staff del ministro, Kyle Sampson, che ha annunciato le sue dimissioni ieri, poche ore prima che il suo capo si producesse nel suo esercizio di impunità.
Quel che è accaduto ieri, esito di una valanga di voci che da qualche tempo fioccavano su Washington, è la conferma che la giustizia era manipolata dalla Casa bianca che, attraverso il potente braccio dell’Attorney General Gonzales, fedele servo di George Bush, decideva quali procuratori le erano sgraditi e ne chiedeva, ottenendolo, l’allontanamento. Una vera epurazione politica, che mette in dubbio seriamente l’indipendenza istituzionale del ministero della Giustizia.
Il pressing più forte per far luce sulla questione, era venuto negli ultimi giorni dai deputati democratici in Congresso, secondo i quali le otto dimissioni annunciate nel dicembre scorso erano politicamente motivate e alcuni dei licenziati avevano denunciato forti pressioni da parte di potenti politici repubblicani dei rispettivi stati affinché conducessero indagini su potenziali frodi elettorali che coinvolgevano democratici. Le «lamentele» locali, a quel che emerge, erano state riprese e ampliate dalla Casa bianca. Chiamati a testimoniare sotto giuramento davanti al Congresso, i funzionari del ministero della giustizia guidati dal vice ministro Paul McNulty avevano dichiarato che gli allontanamenti erano stati decisi dal ministero sulla base di valutazioni professionali, non politiche. Ma ieri la diffusione di alcune mail ha dimostrato che per due anni il dicastero della giustizia aveva discusso dei licenziamenti con la Casa bianca.
«Naturalmente sono preoccupato che l’informazione – un’informazione incompleta – sia stata comunicata o possa essere stata comunicata al Congresso» ha detto ieri Gonzales nella sua falsa confessione «Credo molto fortemente nel nostro obbligo che quando un’informazione viene riferita al Congresso, sia accurata e incompleta. Sono davvero sbigottito che in questo caso ciò non sia accaduto». Conclusione della tirata: «Resto fermo nella decisione (di licenziare gli otto, ndr) e penso che sia stata giusta». La schizofrenia strumentale dilaga, nell’establishment politico Usa.
Ufficialmente, a costringere alle dimissioni il capo dello staff di Gonzales, Kyle Simpson, accettate prontamente dal ministro, è stato il fatto che Sampson abbia mancato di avvertire gli altri alti funzionari del ministero della giustizia delle discussioni sui licenziamenti che stava intrattenendo con la Casa bianca, rappresentata nei «dialoghi» da Harriet Miers. Un’omissione che avrebbe condotto i funzionari a mentire nelle loro testimonianze. Come se davvero una questione di tale rilevanza potesse essere trattata, e risolta, attraverso canali secondari.
Comunque, le prove elettroniche emerse riguardano davvero uno scambio di mail tra Sampson e Miers iniziato due anni fa, nel quale i due esaminano le diverse posizioni dei procuratori per un possibile licenziamento. Ma via via che la corrispondenza prende forma e consistenza, emerge il contraccolpo che si abbatte sui procuratori a causa dei loro legami politici.
Gli sguardi, e le pressioni, sono ora rivolti anche alla Casa bianca, che domenica scorsa ha ammesso che il consigliere del presidente, Karl Rove, si era lamentato con Gonzales del procuratore del Nuovo Messico, David Iglesias, prontamente licenziato. Il Congresso, è certo, chiederà un’inchiesta sul nuovo «affaire». Il senatore democratico Charles Schumer ha di nuovo chiesto le dimissioni di Gonzales e ha invitato Bush a «chiarire il suo ruolo nell’intera vicenda».