Giugno 1944, la battaglia di Velletri

L’ultimo ostacolo all’avanzata americana
verso Roma.

In un libro di Paolo Carotenuto la guerra mondiale portata dentro le case del piccolo centro alle porte della capitale e patita ora per ora dalla popolazione
Maria R. Calderoni
Una croce bianca e un nome inciso, Maurice Gautsch, identica a tante altre in fila nella spianata solitaria, dentro il cimitero di Nettuno. Finisce con il lungo elenco delle vittime – soldati e civili, americani e italiani – il libro (“La battaglia di Velletri. Storia dello scontro che aprì la porta per Roma alla Quinta Armata americana”, pag. 160, Omnimedia), che Paolo Carotenuto ha scritto raccontando quei dieci giorni che, dal 23 maggio al 2 giugno 1944, sconvolsero la cittadina, ultimo avamposto a sud verso la conquista di Roma.

Un libro meticoloso, che ha la precisione di un diario militare, frutto di ricerche dirette negli archivi e tra i militari superstiti americani; nonché di documenti e testimonianze raccolte in loco: su quel territorio che gli è familiare e caro, essendo Velletri il suo luogo di nascita, il paese dove è nata anche sua madre, alla quale il volume è dedicato. Sua madre come un nome per tutti, tutti quelli che dovettero molto soffrire, patire la fame, morire sotto la morsa della guerra.

Croci bianche, lungo elenco di caduti, vittime; sono pietre tombali le pagine che chiudono il libro di Paolo (oggi grafico e giornalista di “Liberazione”). I soldati Usa caduti in quei dieci giorni di fuoco, tanti Harold e Roy e Frank e John, quasi tutti poco più che ventenni, quasi tutti soldati semplici, quasi tutti volontari. E i civili, quelli annientati dal fuoco amico, periti sotto i bombardamenti; e quelli uccisi dagli occupanti tedeschi, fucilati (in 12 giustiziati per rappresaglia a Pratolungo), saltati sulle mine, deportati nei lager.

Non è certo il D-Day o la battaglia di Stalingrado, ma anche la “piccola” guerra della piccola Velletri ha contenuto, contato e sommato tutti gli orrori di tutti i fronti del mondo.

Quel conflitto portato dentro le case e patito ora per ora dalla popolazione, è raccontato da Paolo in modo molto ravvicinato, con un emozionante corredo fotografico e con molti episodi che sembrano usciti da “Platoon”, il colpo assurdo dell’ultimo cecchino, quella banalità grottesca e oscena di morire in battaglia.

“Anzio Annie”, così i soldati del “Texas” chiamavano il famoso cannone tedesco, il “Leopold”, che sparava palle da due quintali e mezzo, la sensazione «era quella di un vagone merci volante sulla testa»; «l’inconfondibile cigolio del “Tigre Mark VI” era terrificante»; in due giorni «la sola compagnia C subì perdite di 1626 uomini, tra morti e feriti»: così si moriva alle porte di Roma.

Non fu una passeggiata; Kesserling impegnò duramente gli Alleati. Da Anzio a Velletri gli americani ci misero cinque mesi, e quando vi entrarono trovarono la città in macerie, le case sventrate, le strade sconnesse, rovine. Per cinque mesi consecutivi Velletri venne infatti martoriata dai bombardamenti Alleati, «lo scopo era di danneggiare le linee di comunicazione e di rifornimento tedesche».

Ma la guerra ha anche una sua cruenta balordaggine. Così può darsi che tanto ferro e fuoco scagliato sulla gente inerme debba essere ascritto al fatto «che gli Alleati confusero Velletri con Frascati, dove risiedeva, nella Villa Aldobrandini, il comando di Kesserling».

Può darsi…