Gianni Rinaldini questa volta non le manda a dire. Compassato e combattivo insieme, appena siglato l’integrativo Fiat – «il primo dopo dieci anni» – il segretario generale della Fiom denuncia l’attacco concentrico alle gloriose tute blu della Cgil: viene dai piani alti, dai ministeri e dagli scranni parlamentari – spesso ex colleghi Fiom, oggi assurti alla gloria della politica – ma anche dall’interno della stessa Cgil, con una segreteria che non ha ancora riconosciuto il peso congressuale maturato dalle sue tesi, e un corridoio popolato di «riformisti» che bombardano giornali come il Riformista di acide veline. E allora questa volta invertiamo l’ordine dell’intervista, mettendo la polemica in testa e tutto il resto – integrativo Fiat, legge 30, conti pubblici – subito dopo.
La «gloriosa» Fiom sotto attacco?
L’attacco è appena cominciato, e questa volta è serio perché ci si mettono in mezzo dinamiche politiche. Tutto si è focalizzato sul voto a Mirafiori: è chiaro che noi rifletteremo e discuteremo con i delegati, come abbiamo sempre fatto, senza sminuire il dato negativo. Ma ci sono state vere e proprie operazioni di sciacallaggio che ritengo irresponsabili e disdicevoli: molti hanno tentato di inserirsi nel nostro dibattito interno, tirando questa o quella posizione della Fiom, le nostre scelte degli ultimi anni, a uso e consumo di questa o quella componente del governo. Mi fa piacere che ci siano tanti ex sindacalisti Fiom al Parlamento, tra i sottosegretari, tra i ministri: ma sappiano che l’autonomia e l’indipendenza della Fiom non sono a disposizione di nessuno. E gli attacchi sono stati tanto più gravi perché fatti mentre eravamo in trattativa con la Fiat: i lavoratori attendevano questo integrativo da dieci anni. Quanto alla Cgil, non commento il voto del Direttivo. Ma certo c’è uno scarto evidente tra il dibattito congressuale e la composizione della segreteria.
L’integrativo Fiat l’avete spuntato.
Sì, i lavoratori non vedevano il rinnovo da 10 anni. Teniamo dentro tutti gli stabilimenti, da nord a sud, con lo stesso trattamento. Così è finita la logica di Melfi, per cui al Sud si partiva da condizioni diverse. Diamo risposte sul reddito, certo parziali, e sulla stabilizzazione del lavoro. In settembre dovrà partire il confronto sul piano industriale: conosciamo i termini fino al 2008, ma in un settore come l’auto non possiamo non vedere almeno fino al 2009-2010.
Montezemolo chiede flessibilità, un forte taglio del cuneo. Al lavoro toccano nuovi «scambi»?
Nell’Assemblea di Confindustria Montezemolo ha dovuto fare una sintesi della sua associazione dopo Vicenza: 10 punti di cuneo, flessibilità degli orari, Irap, Iva. Ma non è affatto il momento degli scambi, per noi. Anche quando dal fronte del governo si rievocano i primi anni ’90, noi rispondiamo che le condizioni di lavoratori e pensionati sono cambiate profondamente, e che non è più il momento di dare. E’ vero che si potranno trarre ingenti risorse dalla lotta all’evasione, tassando le rendite finanziarie e riequilibrando la riforma fiscale Berlusconi: ma questo non dà certo in pochi mesi i 45 miliardi di euro di cui si parla. E allora, se si vuole fare una manovra attenta al sociale, senza riproporre tagli alle pensioni o ai servizi, l’unica cosa da fare per ora è ricontrattare a Bruxelles i parametri di flessibilità sui conti. Quanto al cuneo, il vero problema non è tagliare gli oneri per far ripartire l’impresa, quanto piuttosto affrontare la differenza tra netto in busta paga e costo complessivo: trovate le coperture, è chiaro che la parte prioritaria deve andare al lavoro.
L’8 luglio promuovete con un ampio fronte sociale l’assemblea «Stop precarietà ora».
E’ bene essere chiari: non basta eliminare il job on call e lo staff leasing. Bisogna riscrivere la legislazione del lavoro: agendo sui contratti a termine e l’interinale, eliminando la liberalizzazione operata dal passato governo, puntando sull’apprendistato. E finendola con l’uso truffaldino delle collaborazioni a progetto, come è emerso nel caso Atesia. Il progetto ha senso se è eccezionale, fuori dalla normale organizzazione di azienda, e se viene retribuito di più del dipendente. Al governo chiediamo «discontinuità»: in questo senso parliamo di «abrogazione» della legge 30, della Bossi-Fini, della legge Moratti.