Giovani sempre più penalizzati nel mondo del lavoro. E se il mare di precarietà in cui sono costretti a vivere non basta a narrare il massacro sociale di una o forse due generazioni, i dati sul divario salariale rispetto alle altre classi di età e quelli sulla disoccupazione nell’Europa dei 25 aggiungono qualche elemento in più di riflessione. Le buste paga degli un-der-trenta veleggiano ormai verso uno scarto che in alcuni casi è del 30% rispetto ai lavoratori senior. Eurostat, poi, proprio ieri ha collocato il nostro paese agli ultimi posti nella graduatoria sull’occupazione giovanile: 21,8% insieme alla Grecia, contro il 5,1% dell’Olanda, che compare al primo posto. Tra le due dinamiche, ovviamente, c’è una correlazione diretta.
La precisione delle cifre, peraltro reiterate a distanza di pochi mesi da una analoga ricerca di Bankitalia, non lascia adito a dubbi interpretativi. Così, nel 2008, secondo lo studio di Od&m (pubblicato in questi giorni su Repubblica on line), gli under 30 avranno una busta paga inferiore del 23% rispetto ai loro colleghi della fascia di età compresa tra i 41 e i 50 anni.
I giovani lavoratori dipendenti vedono peggiorare la situazione di anno in anno. Nel 2003, infatti, il divario era del 17%. In pratica, quello che sta accadendo è che le imprese stanno approfittando del periodo di avvio al lavoro. Nei livelli iniziali si rimane per un lungo periodo e quindi la busta paga non sale mai. Sarà per questo quindi che il 27% dei giovani under 55 e il 20% delle giovani coppie sono indigenti, cioè sotto la soglia di povertà.
Secondo i dati del rapporto di Od&m, che prende in considerazione oltre 1,5 milioni profili retributivi, nel 2007 lo stipendio totale annuo lordo dei giovani impiegati (con un’età compresa tra 24 e 30 anni) è stato pari a 22.121 euro, ovvero il 77,1 per cento di quello dei colleghi con 41-50 anni e il 73,8 per cento di quelli tra 51 e 60 anni. Nel 2003 le quote erano significativamente più elevate: rispettivamente l’82,9 per cento e l’80,9 per cento. Hanno perduto così poco più di un punto percentuale l’anno. A spulciare tra i dati ci si rende conto di una spirale perversa in base alla quale non solo i giovani vengono penalizzati dal gap rispetto ai più anziani, ma sono quelli che arretrano anche rispetto alla perdita del potere di acquisto. Tra il 2006 e il 2007, gli under 24 hanno perso il 2,23 per cento mentre gli under 30 hanno visto ridurre il valore reale della paga dello 0,2 per cento. Secondo Bankitalia, il salario dei lavoratori dipendenti più giovani si è ridotto già dagli anni Novanta. In particolare, «il calo del salario d’ingresso non è stato controbilanciato da una carriera e, quindi, una crescita delle retribuzioni più rapida. La perdita di reddito nel confronto con le generazioni precedenti risulta dunque in larga parte permanente».
Chissà perché, poi, l’arretramento tocca più da vicino i laureati rispetto ai diplomati. Nel 2003 un laureato con un’età compresa tra 24 e 30 anni si portava a casa uno stipendio lordo annuo di poco meno di 23mila euro. Nel 2006 lo stesso stipendio supera appena i 24mila euro. Se si tiene conto del costo della vita quella stessa busta paga ha perso circa l’l%. Lo stesso indice calcolato per un impiegato parla di un incremento del 5,9% in più rispetto al netto del costo della vita. Secondo gli esperti, questo fenomeno è legato comunque all’avviamento al lavoro che interessa anche un laureato nonostante la preparazione. La tendenza coincide con l’introduzione della legislazione, a metà degli anni ’90, sulla precarietà. Alla fine degli anni ottanta, è sempre Bankitalia a dirlo, le retribuzioni nette medie mensili degli uomini fra i 19 e i 30 anni «erano del 20% più basse di quelle degli uomini fra i 31 e i 60 anni. Nel 2004 la differenza era quasi raddoppiata in ter-mini relativi, salendo al 35%». Alla fine del 2007 fu stato lo stesso governatore Mario Drachi a tornare sull’argomento. Le buste paghe dei lavoratori italiani sono penalizzati da due fattori: i più bassi salari d’ingresso e un più lento aumento delle retribuzioni al crescere dell’età e quindi dell’esperienza professionale. «Non è un caso se per i lavoratori anziani le differenze tra Italia e l’estero sostanzialmente si annullano. Ma per i giovani e le età mediane le differenze sono molto sensibili», disse a Torino. «Contrariamente a quanto avveniva nel passato – sottolinea Nicola Nicolosi, leader di Lavoro Società in Cgil – quando il meccanismo degli scatti di anzanità consentiva un recupero almeno fino a una carriera di quindici anni rispetto al salario d’ingresso, oggi il nuovo profilo del mercato del lavoro ha di fatto bloccato la possibilità di avanzamento». «Negli ultimi dieci anni in modo particolare si è determinata una situazione in cui i salari dei più giovani non hanno prospettive di miglioramento», aggiunte. «Il meccanismo si è bloccato esattamente perché non si danno più elementi di certezza e di sicurezza al lavoro – conclude Nicolosi – e nella precarietà c’è il livello salariale basso che non cresce in prospettiva».