“Giorgione” e i Giorgini

“Giorgione” e i Giorgini
In occasione dei cento anni dalla nascita di Giorgio Amendola (21 novembre), al di là del dovuto omaggio al dirigente comunista passionale (da qui anche certe asprezze nelle scelte politiche e nei rapporti personali) e rigoroso, non è pigra analogia ricordare quel “tentativo” del 1964 di porre in discussione l’ipotesi del “partito nuovo e unico della classe operaia e dei lavoratori” che era cosa ben diversa da una generica aspirazione ad un partito socialista o meno che mai di imprecisata “sinistra” come incauti assertori di una “cosa rossa” sembrano oggi voler fraintendere.
Se è una ovvietà storicistica sostenere che Amendola è figlio del suo tempo tuttavia non lo si può ritenere responsabile delle successive involuzioni miglioriste ( e dei tanti giorgini) avvenute dopo la sua scomparsa (1980): il progetto di Occhetto , sappiamo per certo oggi, è totalmente indipendente da quella tendenza, che si muoveva in funzione di rapporti più stretti con il PSI di Craxi. Personalmente ritengo che la discussa accusa di “diciannovismo” che mosse al movimento del 1977 ,intendendo con questa definizione un riferimento alla nebulosa che generò,sulle macerie della sconfitta operaia, la galassia del fascismo e di Mussolini, fosse un giudizio che le vicende successive hanno reso purtroppo lungimirante. Infine ,ad illustrarne la tempra e l’onestà intellettuale basterà ricordare la sua coraggiosa e innovativa memorialistica che chiarisce questioni importanti della storia dell’antifascismo e del PCI, cito almeno Una scelta di Vita e l’Intervista sull’Antifascismo, tali da rendere di fatto inutili e viziate da pregiudizi anticomunisti le coeve ricerche di Renzo De Felice.