Il sindacato è già in vacanza. Non ti sembra un po’ presto?
Il rinvio a settembre è un fatto gravissimo. Allo stato attuale la consultazione non c’è. Quando dico consultazione intendo un referendum fatto con regole trasparenti e non con modelli bulgari di una volta, preceduto da una campagna di informazione corretta nella quale i lavotori possano anche essere informati sulle ragioni del no; che sarebbe una bella cosa se si organizzassero in veri e propri comitati per il no.
In molti si sono spesi con l’argomento dell’accordo a favore dei giovani. Ma i giovani, precari, voteranno?
Questo accordo è nato con una campagna ideologica falsa che contrapponeva i giovani agli anziani e alla fine ha particolarmente fregato proprio loro. Primo, perché si consolida proprio la legge 30. Ci sono persino dei peggiormenti, come quello sui contratti a termine. E poi perché si mette la scala mobile a rovescio sui coefficienti e il calcolo delle pensioni. Qui davvero è una catastrofe. Si peggiora la Dini.
Vabbé, ma almeno c’è questa soglia minima del 60% sul tasso di sostituzione.
E’ vero che il protocollo parla indicativamente della pensione del 60% per i precari, che poi vuol dire in cifre di oggi una pensione di 400-500 euro al mese. Ma questa è una ipotesi, mentre è certo il taglio dei coefficienti a partire dal 2010 già definito da un allegato dell’accordo pari al 6-8%. E poi ci sarà la revisione ogni tre anni con decreto del governo senza che il sindacato possa mettere becco; una scala mobile a rovescio sulle pensioni dei giovani. Ma per loro non è finita perché aumentano i contributi di tutti lavoratori, a partire dal 2011, mentre per i parasubordinati l’aumento è più alto. Nella sostanza, il mondo del lavoro si paga i cambiamenti sulle pensioni con le proprie tasche e non c’è un centesimo di redistribuzione del reddito. Senza dire, infine, che nell’elenco delle porcherie c’è la vergogna del regalo dei contributi ai padroni sugli straordinari: meno Inps e più ore di lavoro. Proprio un bel manifesto programmatico liberista.
Passiamo al capitolo pensioni.
Per quanto riguarda le pensioni alla fine si arriva ai 62 anni di età pensionabile con 35 di cotributi un anno prima della riforma Maroni. E sui lavori usuranti c’è la beffa dei 5.000 all’anno con l’aggiunta che sarà una commissione ad avere l’ultima parola. D’altra parte anche per i lavori usuranti l’età pensionabile minima sale a 59 anni con 35 di contributi. E, infine, questa scandalosa guerra tra poveri che viene fatta facendo pagare la modifica delle finestre per chi ha quarantanni di contributi a quelli che vanno in pensione di vecchiaia, che dovrebbero lavorare, le donne, oltre i 60, e gli uomini oltre i 65. D’altra parte è una ipocrisia dire che si è difesa la pensione di vecchiaia delle donne perché con l’aumento dell’età minima pensionabile a 61-62 anni la pensione di vecchiaia delle donne a 60 non resterà.
Si può provare a cambiare qualcosa?
Mi sento di dire che la bocciatura di questo accordo pieno – uso le parole di Epifani sul mercato del lavoro – di porcherie, farebbe bene ai lavoratori perché eviterebbe un peggioramento strategico delle condizioni del lavoro contraddetto da qualche miglioramento sulle pensioni basse o sulla indennità di disoccupazione che comunque non cambia il segno generale a perdere. Ripeto, se questo accordo viene bocciato si può andare a condizioni migliori. Non bisogna farsi ricattare dalla minaccia del governo di tenere lo scalone perché questo accordo è peggio. Una bocciatura cambierebbe la direzione di marcia della politica sociale in Italia e farebbe sicuramente bene a un sindacato che ha concluso malissimo una vertenza iniziata male e gestita peggio. Questo accordo riscrive e in un certo senso consolida le principali leggi di Berlusconi sullo Stato sociale, sul mercato del lavoro e sui contratti. Un accordo pasticciato sì, ma altamente ideologico che annuncia la flexicurity e che spiega che d’ora in poi ogni operazione sulo Stato sociale se la devono pagare i lavoratori garantendo con i loro soldi l’equilibrio dei conti. E’ la vittoria totale sul sindacato e in particolare sulla Cgil della linea liberista di Padoa Schioppa. Quindi i lavoratori hanno tutto l’interesse a rovesciare questo disastro.
Quali riflessi per il sindacato?
Per quanto riguarda la Cgil la sconfitta è ben più amara e grave. In fondo, Cisl e Uil avevano sottoscritto il Patto per l’Itala e qui si ritrovano molti contenuti di quell’accordo. Ma la Cgil aveva lottato contro questa impostazione e adesso la deve ingoiare. E la lettera di Epifani non cambia la sostsanza di un accordo fatto il 23 luglio. Questo somiglia molto all’accordo del 31 luglio del 92, quello che portò alle dimissioni di Trentin, un accordo catastrofico e dove anche allora un presidente del consiglio, Amato, minacciò la Cgil di dimettersi se non avesse firmato.
Come coniugare questo accordo con le conslusioni dell’ultimo congresso della Cgil?
La dichiarazione di Epifani sulla fine della concertazione è il segno del fallimento della linea del congresso. Buon senso vorrebbe che la Cgil al congresso ci andasse mettendo al centro l’indipendenza del sindcato dal quadro politico.