«NON CE PIÙ VINCOLO POLITICO»
Schiacciato tra l’incudine dello scalone e il martello di una fetta sempre più consistente di partito che chiede di uscire dal governo,
Franco Giordano fa quel che può: annuncia che Rifondazione comunista voterà la fiducia sul welfare, «perché abbiamo un vincolo sociale con i nostri elettori e non vogliamo mandare in pensione i lavoratori con la riforma Maroni», ma anche che «a gennaio serve una verifica». Il che vuol dire due cose: che prima di questo appuntamento il Prc non si considera vincolato da «un patto di maggioranza, che va ricontrattato» (e il pacchetto sicurezza che presto aniva in aula?, gli viene chiesto in Transatlantico: «Lì non c’è la fiducia, siamo liberi»); e che in sede di verifica tutto può succedere, compreso il ritiro della delegazione del Prc dal governo e l’appoggio esterno. Non a caso quando a metà pomeriggio la “Velina Rossa” fa filtrare l’ipotesi che Rifondazione è pronta a imboccare questa strada già oggi, contestualmente al sì alla fiducia il sottosegretario Alfonso Gianni smentisce con clausola temporale: «Non mi risulta, non almeno adesso». E anche il ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero fa capire che dopo uno «strappo all’interno della maggioranza» come quello che si è prodotto sul welfare tutto è possibile: «Non abbiamo costmito l’Unione per vedere le ragioni dei poteri forti prevalere sugli impegni assunti con il nostro elettorato». Giordano non vorrebbe arrivare a una rottura col governo, ma mai come ieri l’insofferenza dentro al partito si è fatta sentire in modo così pesante. Per arrivare alla decisione di votare sì alla fiducia è stato infatti necessario convocare prima una riunione del gruppo di Montecitorio e poi, d’urgenza, la segreteria. Perché se è vero che la proposta di garantire il sostegno al governo è stata approvata dai deputati del Pie, è anche vero che tra i 35 presenti (Salvatore Cannavò e altri in rotta col partito neanche hanno partecipato e oggi diranno no alla fiducia) in 10 hanno votato contro. E non è solo la cifra di quelli che si sono espressi per il no alla fiducia a pesare, ma anche il modo in cui è composta: due indipendenti, due esponenti delle minoranze, ma anche sei della maggioranza. Oggi voteranno sì «ner disciolina», e anche nerché Giordano ha assicurato loro che questo «pessimo disegno di legge» sarà l’ultimo rospo ingoiato: «A gennaio va ricontrattato il patto di maggioranza o salta la coalizione». Ma con i sondaggi non proprio rassicuranti per il Prc e un congresso alle porte che si profila tutt’altro che semplice (Ramon Mantovani, che ieri ha avanzato la proposta di votare no alla fiducia, fa ora anche sapere che non accetterà l’appello del segretario a non emendare il documento congressuale: «l.o farò certamente su due temi, governo e unità a sinistra») la strada che Giordano dovrà percorrere si fa sempre più
stretta. Anche perché se sia lui che Bertinotti hanno sempre sostenuto che questa volta non si può ripetere quanto accaduto nel ’98 grazie al programma comune approvato prima delle elezioni, Giordano ora dice sconsolato che «il programma è finito in qualche museo delle cere».