GIORDANO NON CONVINCE L’ALA DURA DEL SUO PARTITO

ROMA. «Vogliamo dar e retta a Majakovskj? Vogliamo spronare il ronzino finché non muore?»: a metà giornata, nella riunione della segreteria, qualcuno dei presenti ha riproposto il dilemma. Lo stesso che, quasi dieci anni fa, angosciò Rifondazione: nell’ottobre del ’98 si decise di far “morire il ronzino”; di portare, cioè, fino alle estreme conseguenze lo strappo con il presidente del Consiglio (sempre Romano Prodi) fino al punto di farlo cadere. E di andare cinque anni all’opposizione. Ieri la segreteria del partito ha deciso, stavolta, di far riposare il povero animale: Rifondazione voterà la fiducia. «Ma a gennaio si cambia!» è la promessa che il segretario del Prc ha fatto ai suoi parlamentari, Franco Giordano. Un po’ poco, se, sull’altro piatto della bilancia, c’è l’irrisione di Francesco Cossiga («Poveri “comunisti”: Prodi li prende per il c… e loro lo appoggiano!»), di Lamberto Dini («E’ stata sconfitta la sinistra») anche se immediatamente corretto dal premier, degli “ex” («Con questa fiducia si chiude ingloriosamente la esperienza di governo», ironizza Marco Ferrando). E a poco serve far notare come anche il Pdci soffra del loro stesso travaglio (oggi si riunirà la direzione per dare un “sì sofferto” al governo).
Rifondazione, come l’ala sinistra della maggioranza, sa di non aver avuto alcuna possibilità di scelta. Da tempo, sul tavolo della segreteria del Prc, arrivano sondaggi che danno il partito in calo costante: ora sarebbe al limite della sopravvivenza in caso di riforma elettorale con sbarramento al 5% (viaggia sul 4,5%). C’è il rischio di far precipitare la maggioranza verso elezioni, senza sapere con quale alleato schierarsi (il Pd guarda più al centro e la “cosa rossa” è ancora in cantiere). Ma per disciplina a Bertinotti che ha annunciato il suo ritiro dalla politica attiva e senza una figura carismatica da promuovere al vertice. «Fa male constatare che, in questo paese, i voti di tre senatori, che non hanno neppure un partito, contano più di 150 parlamentari eletti dal popolo» è, alla fine, la dura ammissione di Salvatore Cannavò
(uno dei dissidenti). Chiara l’allusione ai “diniani”.
A metà giornata, Bertinotti e Giordano hanno capito di aver perduto il braccio di ferro: il premier ha deciso di mettere la fiducia sull’accordo sottoscritto dai sindacati, con la conseguente cancellazione di tutte (tranne una) le modifiche decise in commissione. Il clima diventa rapidamente tempestoso. Fausto Bertinotti comunica in aula la decisione del governo e la critica: «Con la fiducia si impedisce la possibilità di dialogo e di emendamenti del Parlamento».
La “Velina rossa” (una sorta di agenzia informale redatta da un giornalista molto vicino alle posizioni di Massimo D’Alema) annuncia, per di più, che Rifondazione sta pensando ad un clamoroso colpo di scena: sarebbe pronta a votare la fiducia, ma, un minuto dopo, ritirerebbe la propria delegazione al governo. Franco Giordano ha atteso un po’, prima di smentire la indiscrezione. Prima ha riunito i deputati del Prc, poi addiritturala segreteria del partito. Un dibattito “duro” (come lo ha descritto uno dei partecipanti): Rifondazione si è veramente spaccata. Dieci componenti della segreteria (su 40) hanno votato contro la richiesta del governo. Anche se, per disciplina, i “dissidenti” hanno deciso di accettare la volontà della maggioranza. Solo dopo aver ottenuto questa garanzia, Giordano ha autorizzato il suo “ufficio stampa” a diramare una nota nella quale si definisce falsa la notizia del “disimpegno dal governo”. Poi, lo stesso segretario, con viso tirato, ha spiegato ai cronisti: «Votiamo la fiducia per il “vincolo sociale” che ci unisce ai nostri elettori. Ma non c’è più vincolo politico. Tutti i partiti della sinistra chiedono, a questo punto, una verifica urgente al presidente del Consiglio, da fare subito. A gennaio».