Giordano cerca sponde sul modello tedesco

Primo: tenere in piedi Prodi il più possibile. Secondo: accelerare finché si può sul soggetto unitario senza perdere pezzi. Terzo: trattare, trattare e poi ancora trattare sulla legge elettorale per evitare il referendum e per provare a incassare il sistema tedesco. È questa la road map della Cosa rossa dopo il discorso veltroniano di sabato che ha suscitato, dalle parti della sinistra-sinistra, qualcosa di più di una semplice preoccupazione.
Innanzi tutto c’è il governo, che, ad oggi, viene giudicato il minore dei mali e, nonostante tutto, l’equilibrio più avanzato possibile. Il che la dice lunga sulle preoccupazioni dovute al ciclone democrat. Non è un caso che Liberazione, da un po’ di giorni, abbia come bersagli Veltroni (con più cautela) e Montezemolo (ad alzo zero), che vengono considerati i due veri artefici di un assetto diverso dall’attuale. Quindi l’obiettivo è blindare Prodi, finché dura: un segnale chiaro in tal senso è che, dopo la piazza del 20 ottobre, la partita degli emendamenti sul welfare viene gestita quasi “sottovoce”, senza ripetere la frase che solo qualche giorno fa aveva il sapore di un ultimatum: «Se il Protocollo non cambia noi non lo votiamo». Ieri inoltre – a testimoniare la delicatezza del momento – Giordano ha pure evitato di usare la parola «verifica» (invocata, assieme a un rimpasto, da Mastella) e persino la parola «chiarimento» e ha affermato, mostrandosi disponibile a una riduzione dei ministri: «È utile fare un confronto e Prodi deve essere il garante di questo confronto». Se invece le situazione dovesse precipitare, l’ipotesi più accreditata resta quella di un governo istituzionale: la parola «governo tecnico» è bandita. Tradotto: meglio Marini che Dini o chi per lui. Ma bandito è anche il voto con questa legge.
La reazione di Rifondazione all’offensiva veltroniana, dunque, si concentra soprattutto sulla legge elettorale e sui tempi della Cosa rossa anche perché, ragionano al quartier generale di via del Policlinico, le due cose sono indissolubilmente legate. In che senso? Con questa legge il processo unitario è destinato ad andare inevitabilmente a rilento, visto che agevola la posizione attendista di chi (Pdci e verdi) ha intenzione di procedere sì, ma non vuole aderire a un soggetto dove si smarriscano le singole identità. E sul sistema tedesco la sponda ricercata dal Prc (anche Mussi è d’accordo) sono soprattutto D’Alema, Fassino e Rutelli. Con loro l’intesa sembra solida mentre Veltroni, a giudizio di Rifondazione, tergiversa sulle alleanze perché non sa quale sistema elettorale vuole. Russo Spena dice: «Si deve proseguire il confronto sul disegno di legge Bianco presentato in prima commissione. Quella è la sede principale per discutere. È ad esempio lì che si è visto come il tedesco corretto con premio di maggioranza non si possa fare. Noi continuiamo a muoverci sulla base di quello che hanno detto D’Alema, Fassino, Rutelli». Al fondo del ragionamento c’è l’idea che l’alleanza di centrosinistra debba continuare a essere la prospettiva strategica, anche per il futuro. Prosegue Russo Spena: «Non c’è altro schema di governabilità per il paese che l’alleanza col Pd». Certo nel discorso di Veltroni la sinistra-sinistra vede un salto politico non di poco conto: il passaggio dalla democrazia organizzata a quella plebiscitaria. Ed è per questo che spera che il tempo ammorbidisca il decisionismo veltroniano. Tradotto: nei prossimi mesi l’uomo solo al comando potrebbe essere costretto a mediare con i partitisti del Pd e allora le condizioni di dialogo potrebbero essere diverse. Ma uno schema diverso dall’asse Pd-Cosa rossa sarebbe un incubo per il Prc. E Giordano ieri ha continuato a lanciare segnali di dialogo alla troika tedesca formata da D’Alema, Fassino e Rutelli, considerata, ai suoi occhi, più affidabile di Veltroni.
Ma sulla legge elettorale non tutti, nella Cosa rossa, giocano la stessa partita: Sd e Prc vogliono il tedesco, il Pdci e i verdi no, perché si vedrebbero costretti ad una alleanza all’interno della quale invece mirano a mantenere una qualche autonomia. Così Diliberto va a Mosca, i verdi rilanciano sulla Cosa arcobaleno, e la Cosa rossa per dar loro un segnale promuove una manifestazione in piazza Farnese il 10 novembre nell’anniversario del referendum sul nucleare. Il 7 novembre, invece, comitato politico di Rifondazione per tenere insieme il tutto con la proposta di una federazione senza sciogliere nessun partito.
L’elemento più critico di tutto il processo si chiama sindacato. Se infatti la manifestazione del 20 ottobre sul fronte del governo non ha lasciato grossi segni, non si può dire lo stesso dalle parti della Cgil. E l’autocritica di Mussi ha accentuato un solco con i sindacalisti vicini a Sd. Il segretario confederale della Cgil Paolo Nerozzi ieri dall’ Unità ha mandato un messaggio chiaro: «Al Pd dico: non siamo un pezzo del Novecento. Agli altri raccomando: un partito di sinistra deve rappresentare l’insieme del mondo del lavoro e non una sua parte».