Giappone, crisi globale

Con gli Usa in stagnazione ed il mercato azionario in crisi, con la Germania in difficoltà gran parte della stampa si ostina ancora a considerare la crisi nipponica come un fenomeno locale. Il tutto dopo due decenni di miliardi di parole sulla globalizzazione. Appena sabato scorso Le Monde imputava le cause dello stallo giapponese alla corruzione, alla assenza di trasparenza della finanza e via ideologizzando.
Come mai non viene mai sottolineato che i mercati ove la trasparenza è semplicemente inesistente sono quelli dei prodotti derivati in cui le istituzioni americane fanno la parte da leone? Inoltre per ciò che riguarda la cosiddetta corruzione o rapporti preferenziali è utile osservare che il governo Usa ha deciso di conferire alla Lockeed il contratto per il rinnovo dei sistemi di controllo dell’intero traffico aereo nazionale senza bandire un appalto pubblico. Tutto legale, ovviamente, come del tutto casuale è il fatto che il segretario (ministro) ai trasporti sia Norman Mineta già vice presidente della Lockeed (“Lockeed Favored for Major Contract “, International Herald Tribune, 7 marzo). La crisi del Giappone deve essere invece vista come un aspetto della crisi economica mondiale che dura da circa un quarto di secolo.
Se la crescita mondiale degli ultimi quattro decenni viene suddivisa in due periodi si noterà che il periodo 1980-1999 esprime una dinamica nettamente inferiore a quello del 1960-1979 sebbene il boom asiatico sia continuato fino alla metà dello scorso decennio.
Strutturalmente il Giappone già entrò in serie difficoltà con la svalutazione del dollaro nel 1971-72 visto che poco dopo il suo tasso di crescita crollò dal 9% al 3,5%. Tokyo affrontò la crisi mantenendo alto il tasso degli investimenti sia per ristrutturare sia per sviluppare gli investimenti diretti in Asia. Tuttavia il fatto che la crescita fosse scesa ad un terzo del livello precedente mentre gli investimenti calavano di poco rispetto ai valori del precedente decennio, significava che il paese accumulava grandi quantità di capacità produttiva non utilizzata. In ogni altro paese capitalista la disoccupazione palese sarebbe subito salita alle stelle. In Giappone non è stato così per via dell’esistenza di un mercato del lavoro secondario che funge da regolatore nonchè per via della ossessione della stabilità dei rapporti gerarchici e quindi della sottostante base sociale.
Rammentare l’origine della crisi nipponica serve a sottolinearne la dimensione internazionale. E’ lecito vedere il Giappone come la cartina di tornasole delle situazione economica mondiale proprie perchè è stato il paese che ha maggiormente beneficiato della trentennale espansione post bellica. E’ stato anche il paese che ha tratto i maggiori profitti dalla crescita asiatica; iniziata massicciamente grazie alla guerra americana nel Vietnam. Nel corso degli anni la dinamica asiatica ha in una certa misura agito da contrappeso alla stagnante dinamica interna causata dalla fine dell’espansione mondiale. Una volta rottosi l’incantesimo asiatico a Tokyo non restava che la crescita Usa, che ora non c’è più. Tuttavia, date le enormi capacità produttive accumulate dal Giappone, l’espansione americana non poteva assolutamente compensare la stagnazione interna. In altre parole a partire dall’inizio del decennio scorso le esportazioni incidono in modo sempre più debole sulla dinamica interna e non arrestano la vittoria della stagnazione. Nei fatti i livelli di capacità inutilizzata devono ormai essere talmente elevati da spengere ogni dinamica proveniente dalle sostanziali trasformazioni tecnologiche che pur continuano a caratterizzare le industrie nipponiche. Analogamente, la forte spesa pubblica, senza la quale la crisi sarebbe stata ben peggiore, non ha molte possibilità di risollevare le sorti dell’economia perchè tende ad essere concentrata in settori particolari. In questo contesto, oltre che ad improbabili strategie di redistribuzione interna, la condizione – ma non la garanzia – per una ripresa reale, potrebbe risiedere in un coordinamento regionale incentrato sui rapporti cino-nipponici. Ma gli Usa sono disposti ad attizzare il fuoco pur di impedirlo.