Gianni Rinaldini: «In difesa dei diritti e contro il declino»

Venerdì sciopero nazionale dei metalmeccanici. Gianni Rinaldini, segretario Fiom, ne spiega ragioni e contesto: la crisi industriale e i guasti del governo. La Cgil deve salvare autonomia e contenuti, anche con un «governo amico»

Oggi la Cgil riunisce il suo gruppo dirigente confederale e delle categorie per avviare il confronto sul prossimo congresso nazionale. Il contesto in cui il più importante sindacato italiano si interroga è preoccupante e segnato dalla pesante crisi economica e industriale in cui le politiche del governo Berlusconi hanno precipitato il paese – il declino industriale, la liquidazione dei grandi gruppi – e dal mancato rinnovo dei contratti, tanto nei settori pubblici quanto in importanti categorie come quella dei metalmeccanici. Ne parliamo con il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini.

Venerdì 15 i metalmeccanici si fermeranno per uno sciopero generale unitario di 4 ore. Non è ancora per il contratto – la moratoria scade il 15 maggio. Quali obiettivi vi ponete, e contro chi scioperate?

Lo sciopero è la continuazione logica di una serie di iniziative di lotta nei grandi gruppi industriali che stanno andando allo sbaraglio, con la complicità del governo e degli imprenditori. Ti ricordo la manifestazione a Roma dei lavoratori Fiat, le battaglie nella siderurgia (a Terni in particolare), o alla Electrolux in relazione ai processi di delocalizzazione all’estero, o nell’informatica e telecomunicazioni, dove tra l’altro è in atto lo smantellamento del polo industriale dell’Aquila. Chiediamo una cosa molto semplice: un tavolo negoziale con il governo e le associazioni imprenditoriali, un tavolo generale e settoriale. Sono urgenti misure a sostegno del reddito dei lavoratori e l’estensione degli ammortizzatori sociali alle piccole e medie imprese ma anche ai lavoratori stranieri, superando i vincoli imposti dalla legge Bossi-Fini.

Uno sciopero contro le politiche economiche e sociali del governo, dunque, che lascia precipitare le crisi in nome del libero mercato e degli interessi delle imprese?

Certo, contro il governo ma anche contro la Federmeccanica che persevera nella sua politica inaccettabile e perdente, fondata sull’abbattimento dei costi e sui processi di deindustrializzazione e finanziarizzazione quando invece si dovrebbe puntare sulla ricerca e l’innovazione. La Fiat si limita a comunicarci i piani di cassa integrazione da qui all’estate che solo per opportunismo chiamano ordinaria, mentre ha tutte le caratteristiche della cassa integrazione straordinaria. Senza un confronto con il sindacato, senza che il governo dica una parola o ponga dei vincoli in difesa di un patrimonio collettivo nazionale. Sullo sfondo, poi, c’è il rinnovo del biennio contrattuale con un confronto tra le parti che non decolla – 130 euro richiesti, 59 l’«offerta» padronale. Se al termine della moratoria Federmeccanica non avrà cambiato le sue posizioni inaccettabili, saranno inevitabili da parte nostra iniziative di lotta unitarie a sostegno della piattaforma democraticamente votata dai lavoratori.

Mentre voi chiedete una politica economica e sociale alternativa e il rinnovo dei contratti, dall’altra parte, ma anche nel centrosinistra, si parla di flessibilità «buona» (vedi Fassino) e si tende a salvare la legge 30 (vedi Rutelli).

Il fallimento del sistema produttivo del paese è l’esito delle scelte politiche di questi anni che hanno prodotto una riduzione dei diritti, la precarizzazione del lavoro, la svalutazione delle retribuzioni e il restringimento degli spazi di democrazia. La sconfitta della destra alle elezioni regionali della scorsa settimana è la prova del disagio sociale che attraversa il paese e chiede una discontinuità politica, cioè la costruzione di un’ipotesi alternativa. Per quanto riguarda il malessere dei salariati, tutti, centrosinistra incluso, devono sapere che non è più rinviabile l’individuazione di procedure finalmente democratiche che prevedano il voto dei lavoratori sui contratti che riguardino la loro condizione normativa e retributiva. Persino un commentatore come Pietro Ichino, quasi sempre in polemica con la Fiom e con la Cgil, pone il problema della democrazia sindacale e della validazione degli accordi siglati dai sindacati. Democrazia, contratti, difesa del reddito e dei diritti e un’alternativa di politiche economiche e sociali sono i capitoli di un unico libro.

Domani (oggi per chi legge) la Cgil riunirà il suo stato maggiore per avviare la stagione contrattuale. Che congresso vorresti?

La discussione sui contenuti, non è ancora stata avviata e spero che domani si cominci a entrare nel merito. Personalmente penso che le scelte fatte dalla confederazione negli ultimi quattro anni possano fornire il terreno comune per un congresso democratico a tesi, con un impianto generale condiviso e un confronto aperto su alcune questioni precise.

Per esempio, sulla democrazia sindacale e sul referendum sugli accordi?

Per esempio. Ma è difficile discuterne prima della definizione dell’impianto generale. Io non do nulla per scontato prima del confronto di merito. In ogni caso, la Fiom ha tenuto il suo congresso qualche mese fa e ha fatto le sue scelte, dal rifiuto della legge 30 a questioni più generali, come la difesa senza se e senza ma dell’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra. I metalmeccanici non rimetteranno in discussione questi deliberati condivisi, diversi tra loro ma altrettanto centrali.

Resta un punto da chiarire, o forse solo un dubbio infondato di chi scrive. Tu parli delle scelte fatte dalla Cgil negli ultimi quattro anni come base comune di partenza per un congresso democratico a tesi. Si dà il caso che l’autonomia della Cgil si sia rafforzata e le sue posizioni, diciamo apertamente antiliberiste, si siano radicate, in presenza di un governo di destra. L’eventuale vittoria del centrosinistra alle elezioni politiche potrebbe rimettere in discussione l’azione della tua confederazione? In poche parole, come si muoverebbe la Cgil in presenza di un «governo amico»?

Le scelte di questi anni non possono essere legate al governo Berlusconi. L’autonomia – se mi è permesso, l’indipendenza – della Cgil deve vivere anche nel caso, auspicabile, di un cambio di governo. Dev’essere innanzitutto riaffermato il rifiuto della politica dei due tempi: prima i sacrifici e poi il risanamento. A questo scopo, la democrazia interna e nei posti di lavoro è l’elemento di garanzia per tutti.