Il rinvio a giudizio del Prefetto Gianni De Gennaro per i fatti di Genova 2001, fatta salva la presunzione d’innocenza che secondo la nostra Costituzione spetta a tutti, non sorprende quanti e quante si sono andati convincendo in questi anni che quella feroce repressione, al di là dell’aspetto particolarmente disumano di singoli personaggi di medio e basso livello di responsabilità, rispondeva ad un disegno politico e rivelava un’impronta culturale che si sarebbe affermata in questo inizio di millennio. A mio avviso, si tratta del disegno politico della governabilità che, per reggersi, ha bisogno di criminalizzare il dissenso, di ridurlo ai margini, tra folklore e delinquenza, di costruire un’immagine della disobbedienza come attentato alla civile convivenza e alla pace sociale. I conflitti, da essere il sale della democrazia diventano attentati alla democrazia intesa come sicurezza: eppure senza i conflitti non ci sarebbero stati, ad esempio, né lo Statuto dei Lavoratori né quelle leggi che attengono alle libertà femminili. Appunto quelle leggi che oggi subiscono gli attacchi più pesanti. Ma l’aspetto più inquietante del nostro presente sta nella cultura diffusa in gran parte delle forze dell’ordine e nella relazione tra questa cultura e il disegno politico controriformatore e per certi aspetti reazionario diffuso in gran parte delle forze politiche.
I dirigenti della Polizia, coinvolti nei fatti di Genova sono stati promossi a incarichi di responsabilità sia territoriali che nazionali:qualcuno a sinistra ha addotto la motivazione che erano valorosi i poliziotti antimafia impegnati nel combattere la criminalità organizzata e perciò validi nonostante Genova (e Napoli), quasi che l’attività investigativa e la repressione di mafia e camorra potessero applicarsi anche alle manifestazioni di dissenso e protesta sociale.
Ma è sull’ideologia diffusa nelle caserme che non si è nemmeno tentato di incidere: nonostante che nel-l’ormai mitologico programma di Prodi fossimo riusciti a inserire anche l’impegno ad una formazione dsmocratica delle forze dell’ordine e il principio che la sicurezza dei cittadini non si tutela cori misure repressive. Se si pensa a quello che è successo in questi due anni, tutto diventa grottesco. Capisco a questo Plinto la delusione profonda di compagni e compagne che lavorano tra le forze dell’ordine e che hanno contribuito a suggerire proposte legislative e progetti di innovazione culturale, organizzato visite nelle caserme e insistito sulla necessaria rimozione dei responsabili di Genova da importanti incarichi nazionali. Senza risultato. I recenti servizi su Repubblica e la lettura delle gravissime imputazioni da parte dei magistrati sono la conferma di cose che sapevamo. E’ importante che siano diventate materia processuale, ma purtroppo è la politica a non farne oggetto di battaglie senza se e senza ma. Di fronte a quelle vere e proprie torture la destra difende la parte peggiore delle forze dell’ordine, mentre Veltroni si limita a farne materia di indignazione spirituale, ogni tanto. Ma ci rendiamo conto che gli agenti della Diaz di Bolzaneto non erano teppisti ma rappresentanti dello Stato, della Repubblica Italiana, gente a cui dovrebbe essere affidata la tutela dei diritti umani? Questa gente non ha solo violato i diritti umani, ha calpestato la nostra Costituzione. Potevamo esigere la bonifica di questi corpi separati che, nonostante la riforma del 1981, continuano a essere separati. Non l’abbiamo fatto. Non abbiamo risposto concretamente a chi dall’interno elaborava critiche profonde a quella cultura, a un tipo di reclutamento non democratico, a concorsi non aperti, a una formazione ispirata a una logica corporativa e sottoposta a controlli ricattatori. Si tratta di una formazione culturale che si è espressa attraverso ingiurie di carattere sessista, esaltazioni di Mussolini ed espressioni che rivelano una rabbiosa e qualunquistica. Frustrazione. Quei capi di Genova sono ancora al potere, si preparano a riciclarsi nel nuovo governo, quella ragnatela di complicità non è stata spezzata.
*Dipartimento Nuovi diritti e Poteri istituzionali