Gettiamo le basi

«Gettiamo a mare le basi americane…», era questa la canzone degli anni Sessanta, divisa a mezzo tra quelli che ancora restavano nel Pci, la Sezione Che Guevara dell’Università a Roma e il movimento contro la guerra in Vietnam che cominciava a fluire come fiume dappertutto.
Certo non era creativo come la cantilena popolare degli anni Cinquanta: «Ikke, Ikke, vattene pe’ cicche», urlato e modulato per le strade contro la visita di Eisenhower in Italia. Ma era pur sempre il tentativo di una generazione di dare voce e canto ad una nuova mobilitazione contro la guerra. In troppi se ne sono dimenticati. Anche parte della leadership che si è definita di centrosinistra, che ha governato e vuole governare. Non solo in Italia. Un pezzo del Pd, Walter Veltroni compreso e perfino l’algido e sorridente abatino «Cicciobello» Rutelli in carica per tutti noi per diventare sindaco di Roma, hanno partecipato nel 1980 alle dimostrazioni contro l’installazione dei Pershing e dei Cruise. In Spagna a guidare quelle proteste c’era nientedimeno che Javier Solana, poi diventato segretario della Nato e ora alto rappresentante per la poltica estera dell’Unione, che poi non se n’è voluta perdere una delle guerre contemporanee.
Memoria a parte, ma a che punto è la consapevolezza della guerra e della pace, dell’«uccidere di massa» come lo chiama Pietro Ingrao? La convinzione che il modello delle armi è un immaginario di morte anche se, e soprattutto quando, viene contrabbandato come «intervento umanitario»? La domanda non suoni peregrina, perché nonostante la smobilitazione di scena della base della Maddalena, piuttosto che gettarle a mare le basi in questo paese, nonostante la Costituzione gridi il contrario nell’articolo 11, si sono gettate e si gettano le «basi» per nuove e scellerate Opere di guerra offensiva, in un impeto pre e post elettorale assolutamente bipartisan. Come per la base di Vicenza, di pronto impiego per le guerre in Iraq e Afghanistan, con l’avallo di centrodestra, centrosinistra, con gli affari di destra e di sinistra della cooperative rosse del cemento che assomigliano tanto a multinazionali. E poi Sigonella (quasi topos narrativo, insieme, delle lotte contro gli appalti della mafia di Pio La Torre e di una notte di fronteggiamenti negli anni Ottanta tra le nostre forze annate e quelle americane sulla questione palestinese), che ora diventa la punta di diamante della proiezione verso Medio Oriente e Africa degli Usa.
Ma non finisce qui. Perché ora le basi le vogliamo «patriottiche» e di
servizio per altri eserciti, quello Nato e quello americano. Così ci adeguia
mo alle altre democrazie armate sulla scia delle scelte del Pentagono, tra aumenti mostruosi della spesa militare in finanziaria 2007, tra un acquisto e l’altro di potenti cacciabombardieri e dopo l’adesione dell’Italia allo Scudo antimissile voluto da George W. Bush da dispiegare subito a Est in aperto scontro con una non innocente Russia putiniana. E arriva la notizia che in Sardegna, l’isola che i comandi militari globali apprezzano come portaerei naturale nel bel mezzo del Mediterraneo, verrà raddoppiata la megabase militare italiana di Quirra, costosissima, aggressione all’ambiente e agli umani, e addirittura cogestita da un consorzio di stato e privato. Siamo al trionfo del bipartisan. Sulla voragine di queste elezioni che spaventano per la profondità del
buio e del vuoto, anzi per il pieno d’infamie, hanno qualcosa da dire
quelli che chiedono «un voto di parte…» e anche chi proclama che «si
può fare…»?