Le autorità dello stato ebraico assumono il controllo delle proprietà dei palestinesi «allontanatisi» nel 1948
«Dicono che con Abu Mazen presidente, Sharon farà la pace con i palestinesi. Israele invece continua a prenderci la terra». Jonny Atik, 63 anni, parla con il tono dell’uomo politico ma è un cittadino qualsiasi di Beit Jalla. Da una finestra della sua abitazione Atik osserva in silenzio i suoi tre ettari di terreno, a ridosso di Gerusalemme, che le autorità israeliane gli hanno confiscato per permettere la costruzione di un tratto del muro che il governo Sharon sta innalzando intorno alla città santa. «Mi hanno detto che sono un “assente” e che le mie proprietà d’ora in poi saranno sotto il controllo di un ente statale israeliano», spiega il palestinese. Atik a Gerusalemme viveva sino a qualche anno fa, poi, dopo essersi trasferito a Beit Jala per lavoro, il ministro dell’interno israeliano gli ha revocato la residenza. «Un israeliano può andare all’estero e rimanerci per anni senza alcun problema, io invece che a Gerusalemme vivevo da molti più anni di tanti immigrati ebrei, ho perduto i miei diritti non appena ho lasciato la città». Atik e tanti altri che vivono in Cisgiordania hanno perduto tutti i loro diritti sulle proprietà che avevano a Gerusalemme est, sulla base di una legge che trasferisce al Custode dello stato israeliano i beni di palestinesi considerati «assenti». Stime governative, ha riferito nei giorni scorsi il quotidiano Haaretz, valutano le proprietà da confiscare in molte centinaia di ettari di terra. Secondo altre stime potrebbero perfino arrivare a metà di tutte le proprietà a Gerusalemme est.
Con il silenzio-assenso della comunità internazionale, la scorsa estate il governo Sharon ha infatti deciso di applicare anche nella zona araba della città, occupata militarmente dalle truppe dello stato ebraico nel 1967, la «Legge sulle proprietà degli assenti», promulgata nel 1950, che considera assente ogni persona che al momento della costituzione dello stato ebraico si trovava «fuori del territorio (sotto la sovranità) di Israele». In sostanza tutte le proprietà, incluse le terre, abbandonate da quelle persone che furono espulse dall’esercito israeliano o che fuggirono durante il conflitto del 1948 (che si concluse con l’esodo di oltre 700 mila palestinesi), sono passate (con poche eccezioni) al Custode dello stato senza che gli «assenti» abbiano diritto a risarcimenti.
Fu con quella legge che vennero confiscati 50 anni fa i terreni e le case dei palestinesi che vivevano nel territorio destinato a Israele dal piano di Spartizione dell’Onu (1947). In non pochi casi i proprietari si sono visti confiscare le terre anche quando non erano «assenti», ma semplicemente «sfollati», ossia avevano lasciato le loro case per sfuggire ai combattimenti e si erano allontanati solo di pochi chilometri. Invece non ebbero più modo di far ritorno (sono migliaia ancora oggi i cosiddetti «rifugiati interni» in Galilea). Un caso esemplare è quello degli abitanti di Ein Hud. I militari israeliani ordinarono ai palestinesi di questo piccolo centro a sud di Haifa di allontanarsi «per pochi giorni per motivi di sicurezza». L’intero Ein Hud invece venne trasformato in un «villaggio per artisti» israeliani e gli abitanti ¡ tutti con cittadinanza israeliana – vivono ancora oggi vicino alle loro vecchie case in un paese che hanno costruito sulla collina e che attende ancora di essere riconosciuto dallo stato. Dopo l’occupazione di Gerusalemme est nel 1967 e la sua annessione unilaterale allo stato ebraico nel 1980 (non riconosciuta dalla comunità internazionale, inclusi gli Stati uniti), i governi israeliani decisero di non applicare la legge sugli «assenti» nei confronti dei palestinesi dei Territori occupati che avevano proprietà nella città. Invece l’anno scorso dopo l’avvio della costruzione del muro anche intorno a Gerusalemme, i proprietari terrieri di Betlemme e Beit Jalla si sono visti negare dalle autorità il diritto di continuare a lavorare nei loro campi, ora all’interno dei confini municipali di Gerusalemme, perché «le terre non erano più di loro appartenenza ed erano passate al Custode dello stato». La protesta palestinese è stata amplificata dalle Chiese locali, poiché molte delle famiglie colpite dal provvedimento sono cristiane. A nulla è peraltro valsa la posizione assunta dal procuratore generale dello stato ebraico, Meni Mazuz, che ha definito illegale il ripescaggio della legge del 1950. Il portavoce del ministero della Giustizia, Jacob Galanti, ha riferito che Mazuz ha spiegato ai ministri competenti che la confisca di quelle terre non è difendibile da un punto di vista legale e non rispetta neppure il diritto israeliano. I ministri ¡tra cui Benyamin Netanyahu e l’ex dissidente sovietico e «paladino della libertà» Natan Sharansky, sono insorti per riaffermare la validità delle loro decisioni e hanno fatto sapere che non terranno conto del parere di Mazuz. Allo stesso tempo l’Alta Corte di Giustizia di Israele ha respinto il ricorso presentato dai municipi di Betlemme e di Beit Jalla contro il tracciato di una strada protetta di accesso da Gerusalemme alla Tomba della matriarca Rachele, luogo santo situato all’ingresso di Betlemme. Il legale che ha rappresentato i due municipi, l’avvocato israeliano Tussia Cohen, ha commentato che per effetto di questa decisione il sito sacro è stato annesso a Gerusalemme in chiara violazione degli accordi di Oslo. Nella stessa zona, a Sur Baher, all’interno dei confini di Gerusalemme, è prevista la demolizione di numerose case palestinesi per consentire la costruzione del muro. Il «clima di pace» che si respira in questi giorni non fa bene agli abitanti di Gerusalemme est che si sono visti «ringraziare» in questo modo per non aver partecipato all’Intifada che invece ha incendiato il resto dei Territori occupati.