Germania, Telekom ristruttura. Per l’Italia è un brutto segnale

C’è una cosa che i lavoratori della Telekom tedesca condividono con i dipendenti di Telecom Italia: l’ansia per la stabilità del proprio posto di lavoro. Martedì scorso in tutta la Germania più di 12mila dipendenti del “gigante rosa” sono scesi in piazza per protestare contro la politica di ristrutturazione del nuovo amministratore delegato. René Obermann vuole separare la struttura dei servizi dal corpo centrale dell’azienda e lì dislocare circa 50mila dipendenti, a stipendio ridotto e orario di lavoro prolungato. Si tratta del più grande progetto di ricollocazione dalla privatizzazione dell’azienda nel 1995.
Lunedì scorso il quarto incontro tra le parti si era chiuso senza alcun avvicinamento tra l’impresa e il sindacato dei servizi Ver.di. La pillola che i lavoratori avrebbero dovuto ingoiare prevedeva un taglio progressivo fino al 12% dello stipendio per i dipendenti ricollocati entro il 2010. Gli stipendi del settore T-Service saranno legati alla produttività personale e ai profitti. La nuova Telekom di René Obermann ha bisogno di personale flessibile e che lavori più a lungo: la proposta prevede un innalzamento dell’orario da 34 a 38 ore settimanali, con turni più flessibili. Per i nuovi assunti, infine, gli stipendi scenderanno dagli attuali 34mila a 20mila euro l’anno. Come contropartita la dirigenza ha offerto la garanzia della difesa dei posti di lavoro dai licenziamenti fino al 2010. Meno di tre anni. Entro quella data Telekom si impegnerebbe anche a non vendere il comparto T-Service. Secondo l’azienda l’aumento delle ore di lavoro porterebbe in cassa tra i 600 e i 900 milioni di euro in più all’anno. Soldi sottratti al lavoro. Per il sindacato i dipendenti, tra diminuzione dello stipendio e aumento delle ore, subirebbero una perdita materiale del 40%. «I lavoratori non si possono dissanguare per gli azionisti», ha commentato il portavoce del Ver.di Jan Jurczyk.
La dirigenza mostra segni di impazienza preoccupanti: se non si dovesse giungere a un accordo con il sindacato entro la fine di aprile, Telekom proseguirà dritta per la sua strada senza il sostegno del sindacato e, a quel punto, non sarebbe esclusa nemmeno la vendita del comparto in crisi. «Lo possiamo fare e lo faremo», ha minacciato il negoziatore della dirigenza Karl-Gerhard Eick. «Una pressione inaccettabile», secondo il capodelegazione del Ver.di Lothar Schröder. Eick ritiene anche illegittima la strategia di scioperi nazionali intrapresa dai lavoratori e ha minacciato azioni legali.
Telekom Deutschland è una spa quotata in borsa, il cui primo azionista è lo stato federale, che controlla direttamente il 14,8% delle azioni e, indirettamente, un ulteriore 16,9% – attraverso l’Istituto di credito per la ricostruzione (fondato nel 1948 con i fondi del piano Marshall). Il governo di Angela Merkel è rappresentato nel consiglio di vigilanza dal sottosegretario alle finanze Thomas Mirow. Terzo azionista è la società d’investimenti statunitense Blackstone, che possiede il 4,4%. Il restante 63,9% dell’azionariato flottante è in mano ai piccoli investitori. Finora il governo non ha fatto sentire la propria voce.
René Obermann, nominato solo lo scorso novembre, è stato promosso alla guida dell’azienda dal posto che occupava in T-Mobile, settore che da solo realizza più del 50% del fatturato Telekom. La sua nomina al posto di Kai-Uwe Ricke e l’uscita di scena dell’ex-capo del personale Klinkhammer, responsabili del piano di ristrutturazione aziendale originario, avevano dato adito alle speranze dei lavoratori per una dirigenza più “morbida”. Speranze vane.
Telekom non gode di ottima salute. L’emorragia di clienti di più antica data, quelli con il contratto per la linea fissa, continua senza sosta. Ieri il settimanale Spiegel ha diffuso la notizia della perdita di 600mila clienti solo nel primo trimestre del 2007. Si tratta di un nuovo record negativo per il “gigante rosa”. D’altra parte l’azienda sta registrando un significativo aumento della vendita di contratti per la banda larga, che verosimilmente le permetteranno di rispettare i piani di bilancio. Intanto i servizi ai clienti peggiorano, e il perché non è un mistero, commenta Jurczyk del Ver.di: «Rispetto al 1995 nello stesso servizio ci sono circa 60mila dipendenti in meno». Per dare un segnale positivo la dirigenza si è detta disponibile a ridursi l’onorario. Forse la rinuncia a un mese di stipendio. «In questo momento il mio stipendio è l’ultima preoccupazione», ha detto Obermann. Beato lui.