Linkspartei Il gruppo di Lothar Bisky si ribattezza «Partito della sinistra» e apre le sue liste a Oskar Lafontaine. In vista delle probabili elezioni di settembre
Non è facile cambiar nome per un partito, tanto più se gli occorre farlo per la terza volta in quindici anni. Nel dicembre 1989 la Sed, partito di unità socialista della Repubblica democratica tedesca, prese il doppio nome Sed-Pds (partito del socialismo democratico). Qualche mese dopo preferì chiamarsi solo Pds. Da domenica scorsa ha preso il nome di «Partito della sinistra» (Die Linkspartei), pur senza abbandonare del tutto quello precedente, che potrà essere aggiunto o meno a seconda delle preferenze delle organizzazioni regionali. La ridenominazione, ha detto il presidente del partito Lothar Bisky, è «un segno di apertura» e di disponibilità a un processo di rifondazione di un’alternativa di sinistra in Germania. Che porti entro due anni a una unificazione con la Wasg, il raggruppamento di dissidenti socialdemocratici che già adesso potranno candidarsi sulle liste della Linkspartei, e metta insieme culture d’opposizione dell’est e dell’ovest.
Il nuovo statuto precisa che il partito porta la «denominazione supplementare» di Pds. Spetterà alle federazioni regionali decidere se assumerla, e se aggiungerla sulle schede elettorali (ogni Land ha proprie liste). Al posto di Linkspartei si potrà anche ricorrere alla forma abbreviata «Die Linke», la sinistra, e questo logo (con l’aggiunta o meno della sigla Pds) firmerà i manifesti e i volantini.
Le diverse varianti consentono di accontentare i dissidenti socialdemocratici e i sindacalisti della Wasg (alternativa per la giustizia sociale), cui si è unito l’ex presidente della Spd Oskar Lafontaine. La Wasg, pur decisa a far causa comune con i socialisti, non se la sentiva di presentarsi sotto il simbolo della Pds, che – con le sue radici nella storia della Ddr e nelle regioni dell’est – resta all’ovest un partito «straniero». I socialisti dell’est, d’altra parte, temevano di non essere più riconosciuti dal loro elettorato se avessero rinunciato al marchio Pds.
La legge elettorale tedesca non prevede collegamenti tra liste diverse (che consentirebbero di «aggirare» la soglia di sbarramento del cinque per cento). Né c’era il tempo di unificare i due partiti: il presidente della repubblica Köhler dovrà decidere entro venerdì prossimo se sciogliere il parlamento come gli è stato chiesto dal cancelliere Schröder. È verosimile che lo faccia e che si voti il 18 settembre. In questa situazione ai dissidenti socialdemocratici non restava che la via di una candidatura su liste aperte della Pds, ma con nomi a geometria variabile a seconda dei Länder.
A est avremo, per esempio, il «Partito della sinistra.Pds. Federazione regionale della Sassonia» (lo stesso varrà per gli altri Länder orientali). Firmerà i suoi manifesti con «Die Linke.Pds», e la stessa dicitura troveranno gli elettori sulle schede. A ovest, sui manifesti e sulle schede, si leggerà solo «Die Linke» (la sinistra). Ma sulla carta intestata del partito, secondo gli orientamenti locali, potrebbe anche esserci un riferimento alla Pds: «Partito della sinistra.Pds. Federazione regionale del Baden-Württemberg».
Come che sia, riducendo a supplemento opzionale la sigla Pds – partito del socialismo democratico – si relega al margine anche il riferimento al socialismo, hanno obiettato Sahra Wagenknecht e Uwe-Jens Heuer. Ma il grosso dei delegati riuniti nel palazzetto dei congressi dell’Alexanderplatz non aveva voglia di lacerarsi sui massimi sistemi: 311 hanno votato per la ridenominazione, solo 20 contro, uno si è astenuto.
Nessuno se la sentiva di mettere a rischio la prima vera occasione di far cadere il muro tra est e ovest anche a sinistra. E di frenare il volo della Linkspartei nei sondaggi: 30 per cento a est, 12 per cento in media federale.