BERLINO
«Chi lotta può perdere. Chi non lotta ha già perso», è il motto scelto dai socialisti per il loro congresso di Gera. In effetti le diverse correnti della Pds, il partito del socialismo democratico, hanno dissotterrato l’ascia di guerra per una battaglia senza quartiere: non contro il nemico di classe, ma contro i delegati della frazione avversa. L’attuale presidente Gabi Zimmer si batte per una sua riconferma, accentuando un’autonoma linea di opposizione socialista al trend neoliberista del governo Schröder-Fischer. Contro di lei si era candidato il segretario del partito, Dietmar Bartsch, capofila dei «rinnovatori» che vogliono agganciare la Pds allo schieramento di centrosinistra, con una «responsabile» pratica riformista.
Il congresso ha salutato con un’ovazione il discorso d’apertura di Gabi Zimmer, mentre sin dal pomeriggio è apparso chiaro quanto siano diffuse tra i delegati le riserve nei confronti di Dietmar Bartsch. Riserve «caratteriali», prima ancora che politiche. Il segretario, da sempre convinto di essere il più intelligente e il più capace, ha intrigato in tutti i modi nei mesi scorsi contro la «sua» presidente, e cerca adesso di scaricare su di lei tutta la colpa della sconfitta alle elezioni del 22 settembre scorso. Molti, e soprattutto molte delegate, lo considerano arrogante e sleale.
Vista la mala parata per lo schieramento «riformista», in serata si è gettato nella mischia Roland Claus, capogruppo della Pds al Bundestag nella passata legislatura. Ora Claus è disoccupato, perché la Pds, fermatasi al 4,5 per cento, non avrà più un gruppo parlamentare e sarà rappresentata solo da due deputate elette col sistema uninominale a Berlino est. Roland Claus, riflessivo e conciliante, ha carte migliori. Con tutta verosimiglianza Bartsch si vedrà costretto a rinunciare alla propria candidatura a suo favore.
Alle 21 il documento politico presentato da Gabi Zimmer è stato approvato, prevalendo su quelli presentati da Bartsch e da un un raggruppamento intermedio attorno a Wolfgang Gehrcke. Le elezioni per la presidenza si protrarranno per tutta la notte, e mentre scriviamo non è nemmeno chiaro se si arriverà a un duello tra Gabi Zimmer e Roland Claus. Visti gli orientamenti emersi nel voto sulle mozioni politiche, Claus potrebbe anche ritirarsi.
Alle elezioni la Pds è passata da 2,5 milioni di voti a 1,9 milioni. Ha cioè perso 600.000 elettori che le hanno voltato le spalle in direzioni opposte. Circa trecentomila, ritenendo comunque più importante bloccare il democristiano Edmund Stoiber, hanno preferito optare per il male minore Schröder votando per la Spd. Altrettanti, contrariati dall’appiattimento della Pds ai socialdemocratici nelle due coalizioni rosso-rosse a Berlino e in Mecklemburgo, non sono per niente andati a votare.
Il gruppo che sostiene Gabi Zimmer è preoccupato soprattutto da questa fuga verso l’astensione, mentre considera recuperabili i voti prestati alla Spd in chiave antidemocristiana e antibellicista: se Gerhard Schröder non avesse preso nettamente posizione contro un intervento in Iraq, il travaso non sarebbe stato possibile.
La Zimmer è inoltre convinta che il programma neoliberista con cui Schröder vuole costringere i disoccupati a accettare lavori precari e sottopagati aprirà a breve nuovi spazi per una politica di «opposizione sociale», che faccia da sponda al disagio della sinistra sindacale e socialdemocratica.
Bartsch e Claus ritengono invece che i voti perduti a vantaggio della Spd siano il segno di una stanchezza per l’attardarsi della Pds su una retorica massimalista, senza sbocchi concreti. Ritengono che alla lunga i socialisti non avranno futuro se non saranno capaci di proporre opzioni «concrete» e «praticabili». Dando per scontato che in Germania è praticabile solo quanto possa venire accettato dalla socialdemocrazia «reale» di Gerhard Schröder.