GERMANIA – Il fragile Pds di Zimmer

La 47enne Gabi Zimmer è stata rieletta presidente della Pds, il partito del socialismo democratico. Al congresso riunito il 12 e il 13 ottobre a Gera, in Turingia, hanno votato per lei 274 delegati, il 69,2 per cento. Roland Claus, che all’ultimo momento aveva deciso di candidarsi per il campo «riformista» al posto di Dietmar Bartsch, ha avuto solo 96 voti. La sconfitta dell’ala più pragmatica e moderata, che da tempo lavora a smussare gli spigoli anticapitalisti della Pds per adeguarla alle compatibilità di governo, era apparsa chiara già nella discussione sulle mozioni politiche. Il documento della Zimmer, che propone di rendere più netta l’identità «socialista» con un’opposizione costruttiva alle «tendenze neoliberiste» del governo Schröder-Fischer, ha raccolto una maggioranza di due terzi.

I «riformisti» hanno reagito con un astioso esodo dagli organismi dirigenti. Era scontato che l’ex segretario del partito Dietmar Bartsch non volesse e non potesse più collaborare con Gabi Zimmer. Non era altrettanto scontato che rifiutasse di entrare nella direzione Roland Claus, già capogruppo della Pds al Bundestag (il partito, fermatosi al 4,5 per cento alle elezioni del 22 settembre, non avrà più un proprio gruppo parlamentare, ma solo due deputate elette col voto uninominale). O che scegliessero di non ricandidarsi membri della direzione uscente come Petra Pau, una delle due deputate rimaste, Thomas Flierl, assessore alla cultura a Berlino, Helmut Holter, ministro in Mecklemburgo, Petra Sitte, capogruppo della Pds in Sassonia-Anhalt, o Sylvia-Yvonne Kaufmann, deputata al parlamento europeo.

Gabi Zimmer ha criticato la supina accettazione dei diktat socialdemocratici nei due governi regionali cui la Pds partecipa, a Berlino e in Mecklemburgo. A suo avviso la Pds ha perso voti sul fronte dell’astensione perché agli occhi di molti elettori «è diventata parte del sistema istituzionale, un partito con cui – a parte la guerra, si può fare tutto». Gli esponenti delle due coalizioni regionali hanno reagito arrocandosi sull’Aventino, insieme a molti dirigenti del Brandeburgo e della Sassonia-Anhalt. Solo al sud di quella che era una volta la Rdt, in Sassonia e in Turingia, la Zimmer può contare su un appoggio degli apparati.

Di qui la fragilità della sua vittoria al congresso di Gera. Perfino il quotidiano della Pds Neues Deutschland si chiede nell’editoriale di ieri se non sia una «vittoria di Pirro», visto che i fronti del conflitto interno sono più incancreniti di prima.

La crisi della Pds risale al congresso di due anni e mezzo fa a Münster, quando Gregor Gysi tentò inutilmente di far accettare interventi militari all’estero, se giustificati da un mandato delle Nazioni unite. Gysi lasciò la guida del gruppo parlamentare e Lothar Bisky quella del partito. Il passaggio della presidenza a Gabi Zimmer fu subito da molti come rinvio di una resa dei conti comunque inevitabile.

Per due anni le due componenti della direzione non hanno fatto che affilare le armi e bloccarsi a vicenda. Ora hanno deciso di separare le proprie responsabilità. Non sono certo le premesse migliori per quel rinnovamento del partito che tutti, a parole, dicono di volere.