Gentilini, i gay e la persecuzione nazi

Le dichiarazioni del prosindaco di Treviso Giancarlo Gentilini ( “è necessaria una pulizia etnica contro i culattoni”) se da una parte ci raggelano, d’altra parte non dovrebbero stupirci, essendo la ferocia contro gli omosessuali una peculiarità dell’intera cultura di destra: fascista, nazista, cattolico integralista, leghista. Ed anzi, come lo stesso e vasto fenomeno dell’ Omocausto, sviluppatosi nei lager hitleriani, ha dimostrato, persino qualcosa di più di una peculiarità: un tratto della spina dorsale ideologica e politica del nazifascismo e della reazione.
Per ragioni che hanno basculato tra la vergogna di ciò che era storicamente accaduto e una nuova forma di disprezzo ed emarginazione per gli omosessuali, gran parte delle sofferenze che i gay e le lesbiche hanno vissuto durante il nazifascismo è stato rimosso. Nel 2002, a cura del Circolo Pink di Verona, edizioni Ombre Corte, uscì un importante lavoro: “Ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante nazismo e fascismo”. Nell’opera lo studioso Franco Gorelli ricordava che in Germania furono oltre 100mila gli omosessuali arrestati, di cui 50mila condannati e 10mila internati nei campi di concentramento. Nei campi, come si sa, gli omosessuali erano confinati in blocchi speciali, sottoposti ad esperimenti – psicologici, medici e non medici – feroci e mortificanti (castrazione, sterilizzazione, “prove di resistenza” sessuale, autodafé per scusarsi davanti al mondo di essere depravati). Venivano contrassegnati, sulle casacche, da un triangolo rosa rovesciato, erano la feccia dei lager, dove avevano l’unica fortuna di non rimanere a lungo, per la rapidità della loro eliminazione fisica.
Il lager di Sachsenhausen, nei pressi di Berlino, era stato adibito a campo di concentramento specifico per gli omosessuali (nemici simbolicamente principali, come diceva Goering, dell’uomo nuovo nazista, del superuomo ariano). Qui furono deportati oltre 1200 omosessuali; oltre 600 furono a lungo torturati e poi uccisi. I superstiti non furono nemmeno mai riconosciuti, dai governi tedeschi occidentali del dopoguerra, come vittime del nazismo, poiché, anche per la Giustizia della Germani occidentale erano “criminali” in virtù del famigerato articolo 175 nazista rimasto in vigore sino al 1968 (a differenza della Ddr, ove fu presto cancellato). Tra il 1950 ed il 1965 furono, sempre nella Rft, 100mila gli omosessuali processati, lo stesso numero dei processati dal nazismo. Sul lager di Sachsenhausen si stese un lungo manto di silenzio e solo nei primi anni del 2000 fu allestita a Berlino una mostra dell’orrore con le foto, le testimonianze e i segni della persecuzione contro gli omosessuali.
Anche il fascismo italiano non si sottrasse alla persecuzione. Sempre Franco Gorelli ci dice che furono oltre 300 i casi, documentati, di omosessuali portati al confino e migliaia quelli dei perseguitati, dalla vita controllata, fustigata, irrisa e rovinata. E anche nel caso italiano tutta la persecuzione è stata in gran parte oscurata e rimossa. Nel dicembre 1988, a Catania, in un importante incontro dal titolo “Eravamo i primi”, fu Pino a parlare e ricordare la propria condizione di “arruso” nella Catania fascista e fu la rivelazione di un orrore organizzato. Gli omosessuali catanesi non erano colti, nulla sapevano di Oscar Wilde o di Baudelaire; erano proletari e sottoproletari; nell’oscurità e nella repressione del regime non potevano amare né essere amati: potevano solo vendere i loro corpi alla borghesia, per sopravvivere. Nel gennaio del ’39, 42 di essi furono portati, nottetempo, in questura. Pestati e crudelmente irrisi passarono un primo mese in carcere e poi cinque anni di confino. La loro unica colpa era quella di non essere, per il regime, “normali”. Persino la Resistenza non fu tenera con loro: vi furono capi partigiani che respinsero la richiesta di combattere avanzata da partigiani omosessuali. E pensare che pochi, quanto loro, potevano combattere per la libertà.
Dopo la persecuzione nazifascista fu il silenzio e l’omertà a colpire di nuovo gli omosessuali, per tutto il dopoguerra, sino ad oggi. Ricordava Klaus Muller, nel suo saggio “Uccisi dalla barbarie, sepolti dal silenzio”: «Tutti dimenticarono la tragedia degli omosessuali: la “Survivors of the Shoah” Visual History Foundation attesta che su 15 mila interviste ad ebrei tornati dai lager, solo due erano fatte a degli omosessuali”. E chi scrive vuol ricordare che tuttora gli omosessuali italiani usciti dalle persecuzioni, dalle galere e dalle colonie penali fasciste non sono stati iscritti a nessun registro nazionale di associazioni di perseguitati riconosciuti dal ministero della Difesa, nonostante le ripetute richieste del movimento glbt italiano. E sarà nostro compito, compito dei comunisti, in Commissione Difesa al Senato, impegnarci affinché tale riconoscimento, per gli omosessuali, venga conquistato.
La ferocia di Giancarlo Gentilini, la sua urlata omofobia, ripone al centro del dibattito politico la domanda: perché tanta destra durezza contro l’omosessualità? Non è questa la sede per una risposta argomentata. Tuttavia: le destre reazionarie, da una parte, credono alle crociate contro gli omosessuali, gli ebrei, gli zingari, gli immigrati, i rom (altri perseguitati dal nazismo dimenticati); d’altra parte, le utilizzano come vettori per far dilagare la guerra più grande, quella contro tutti gli sfruttati e gli emarginati e a favore del più grande ordine costituito: quello del capitale. Fu così per la Germania nazista, in lotta contro gli ebrei, i comunisti, gli zingari, gli omosessuali, i rom, contro tutto “il disordine sociale” e a favore dell’ordine imperialista tedesco. In verità le destre reazionarie si dispongono a battersi per tutto ciò che per esse è “natura”, dunque “legge divina e immodificabile”: la normalità sessuale, il Dio cattolico, la proprietà privata. Tutto il resto è malattia sociale. E’ per questo, con ogni probabilità, che la grande stampa italiana in questi giorni ha stigmatizzato molto più severamente le parole di Francesco Caruso che quelle di Giancarlo Gentilini. Le prime ( pur sbagliate nella loro forma provocatoria dadaista, non certo comunista) denunciando il problema della Legge 30 vengono sparate in tutte le prime pagine e l’autore viene massacrato. Le seconde, di Gentilini, volte alla riaffermazione violenta dell’ordine sociale costituito, dal quello sessuale sino a quello capitalistico, possono slittare in terza pagina e l’autore può essere rappresentato, come è stato fatto, non come quel mascalzone trucido di Caruso, ma come una sorta di macchietta locale e leghista. Questo è il potere.
*Senatore Prc-Se, Direttore de “L’Ernesto”