«Il mio scopo è eliminare l’imposizione diretta sui lavoratori a reddito basso e diminuirla sul ceto medio, aumentandola a chi inquina e ai molto abbienti».
Non lo dice una forza “folcloristica” della sinistra italiana, ma il leader dei liberal-democratici britannici, Menzies Campbell che vuole esentare “i tre milioni di meno abbienti” (lavoratori a basso reddito e pensionati), abbassare dal 22% al 20% le imposte ai ceti medi e aumentarle ai ricchi, introducendo anche una tassa ambientale sui veicoli che consumano di più e sugli aerei privati. «Siamo l’unico partito che crede nella redistribuzione», ha commentato fiero Campbell. Non è il solo in Europa. La Cancelliera Angela Merkel ha già annunciato l’intenzione di alzare l’aliquota massima sui redditi dei più ricchi (Schroeder l’aveva abbassata). Il recupero di gettito è basso, ma è un atto simbolico o populista.
In Gran Bretagna, quindi, (e in misura minore in Germania) si afferma l’apparente paradosso di liberal che tassano le super-ricchezze e il “consumo ambientale” e riducono le tasse a chi meno guadagna, mentre il social-liberista Tony Blair – ma da noi si potrebbe anticipare la stessa reazione di Fassino o Rutelli – dice che non si può fare, che i conti non tornano perché i numeri li fanno i ceti medi e su quelli si fanno le “manovre”. I concreti laburisti, social-liberisti, non tassano i miliardari dei grandi patrimoni, padroni delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni (al limite ci escono a cena), ma tassano i ceti medi in via diretta e indiretta con le stesse dismissioni dei servizi non più pubblici.
La proposta dei liberal-democratici, però, ci dice qualcosa di più e altro. Primo: in Gran Bretagna le tasse le pagano. E qui siamo in svantaggio culturale, ma in vantaggio per il recupero crediti, come da programma dell’Unione e continue affermazioni di Prodi, Visco e compagnia che vorrebbero puntare molto sulla lotta all’evasione. Secondo: la sensazione d’affanno del ceto medio europeo è speculare all’allargamento della forchetta con i più ricchi, quelli che ieri Massimo Gramellini definiva su La Stampa «una cupola di privilegiati» (e complimenti alla liberalità dell’editore). Terzo: la difesa dei ceti medi dal rischio concreto e dall’ansia dell’impoverimento e la difesa dei redditi da lavoro del ceto medio sarà uno dei problemi centrali per tutti i governi “moderati”, pena la rivolta nelle urne. In Italia dovrebbe essere già chiaro dal risultato del voto. Se non lo è, arriva il quarto punto: le classi si cristallizzano, siamo tornati alla mobilità sociale di trenta anni fa. Basta leggersi il rapporto del Censis sulla mobilità sociale italiana che in sostanza dice che i “borghesi sono sempre più piccoli”. Il 60% dei loro figli scende nella scala sociale, da medio-piccoli imprenditori, liberi professionisti e dirigenti e quadri alti passa alla piccola borghesia impiegatizia (e un 10% verso la classe operaia). Metà dei proletari, invece, passa tra i piccolo borghesi, ma perché ci sono sempre meno operai. Vale più per i maschi che per le femmine che rimangono al 30% casalinghe nelle famiglie operaie. Mentre vale per tutti e tutte rimanere inchiodate nel 60% dei casi alla scuola dell’obbligo. Chi sta in basso fa fatica a studiare. Il tutto prima della riforma Moratti. Quindi: mobilità bassissima, riduzione del ceto medio e di quello operaio, bolla del ceto piccolo borghese.
Se questa è la fotografia del paese, altro che pedaggi autostradali. Qui bisogna riscrivere la politica fiscale in chiave redistributiva, riequilibrare e rendere più equo il sistema. Come? Con un quadro di tassazione progressiva, dove tutti i redditi da lavoro (compreso il 60% dei lavoratori autonomi che dichiarano meno di 10mila euro anno) sono tassati meno della rendita e l’evasione è colpita duramente. Come è noto, in Italia guadagni di borsa, dividendi e altre rendite finanziarie sono tassate al 12,5%, mentre sugli interessi da conti correnti, depositi bancari e postali, si paga il 27%. Ovvero si tassano più i risparmi delle famiglie che i raiders di Borsa (e non veniteci a raccontare del risparmio borsistico delle famiglie o dei Bot, se si vuole si difendono).
Sarebbe il minimo, da liberal-democratici “made in Uk”. E se tutto ciò vi sembra sempre folcloristico, allora proponiamo uno scambio: Campbell contro Padoa Schioppa. Ci prendiamo il rischio di un “Sir” scozzese, studente ad Harvard e olimpionico dei 100 metri, un conservatore liberale, paladino del ceto medio (e contrario alla guerra in Iraq) con cui si può discutere di redistribuzione e magari ricavare miliardi di euro per salari, stipendi e pensioni.