Gazprom e Chavez a braccetto

La notizia è di quelle che fanno incazzare Washington. Forse per questo l’hanno resa nota con un paio di giorni di ritardo, in pieno esodo vacanze un po’ in tutto l’occidente industrializzato.
Gazprom, il colosso statale russo ha firmato giovedì un accordo con il Venezuela per sviluppare la produzione di gas nel paese di Chavez. L’intesa è stata siglata alla presenza dei due presidenti, che tra l’altro condividono anche la preferenza per il controllo statuale delle risorse energetiche: sia Gazprom che Pdvsa (la compagnia nazionale venezuelana) hanno infatti per azionista di maggioranza assoluta i rispettivi stati.
Nonostante le riserve nazionali di gas naturale siano stimate in 4.100 miliardi di metri cubi, infatti, il Venezuela ne estrae soltanto 30 miliardi l’anno, che finiscono interamente nel consumo interno. Per garantirsi un export – che andrebbe ad affiancare quello, per ora più copioso, del greggio – Chavez aveva dunque bisogno di un partner politicamente affidabile e tecnologicamente in grado di sviluppare anche questo settore energetico. L’esperienza russa nel costruire e gestire pipeline lungo percorsi di migliaia di chilometri, del resto, è anche la ragione dei contatti in corso tra la stessa Gazprom e la brasiliana Petrobras. Un «allargamento» dell’influenza russa nel «cortile di casa» sudamericano, per di più in favore di due tra i più indisciplinati governi locali, che certo non può piacere a Bush.
Tanto più che l’accordo energetico è stato accompagnato dall’annuncio della firma di un contratto per forniture militari russe all’ingovernabile Chavez: 790 milioni di euro (non dollari, altro segno sgradito) per 30 aerei da combattimento Su-30, 30 elicotteri e 100mila kalashnikov modello Ak-130, nonché per la costruzione di uno stabilimento per la costruzione di Kalashnikov e relative munizioni. Robetta, dal punto di vista strettamente militare; ma che per il Venezuela rappresenta l’unico modo per ammodernare il proprio arsenale, specie sotto l’intensificarsi delle «pressioni» statunitensi. Che infatti hanno gridato la propria contrarietà fino a chiedere a Mosca di riconsiderare i termini del contratto.
Più importante, sul piano strategico, è il ruolo che va assumendo Gazprom nel mondo. In un mercato, come quello energetico, caratterizzato da domanda e prezzi crescenti, il colosso russo sta conquistando spazi prima impensabili. Già ora fornisce la metà del gas consumato dall’Europa occidentale. La pipeline sottomarina nel Baltico gli permetterà di bypassare territori infidi come la Polonia o l’Ucraina, presentandosi perciò alla metà ricca dell’Europa come un fornitore energetico più affidabile di adesso (grazie anche alla presidenza del consorzio, affidata all’ex cancelliere tedesco, Gerhard Schroeder). Sul lato settentrionale, l’avvio dello sfruttamento di un gigantesco giacimento di gas nella penisola di Kola (nel circolo polare artico) consentirà di rifornire gli Usa, via nave, con tempi di percorrenza di una sola settimana; l’obiettivo è conquistare il 10% del mercato Usa in pochissimi anni. I negoziati con l’Eni per uno scambio reciprocamente vantaggioso – Gazprom chiede di vendere almeno il 10% del proprio gas direttamente sul mercato italiano – vanno avanti lentamente, ma vanno avanti («entro la fine dell’anno, forse», secondo Paolo Scaroni, si dovrebbe arrivare alla firma). E poi contratti e partnership con i cinesi, altrettanto e più affamati di energia sicura, senza guardare troppo al prezzo.
Già, il prezzo. La Bbc, ieri, mandava on line l’analisi di Adam Sieminski, capoeconomista del settore per Deutsche bank. Il quale parla del limite di 100 dollari al barile come della soglia oltre cui ci sarebbe uno shock per l’economia globale. E al tempo stesso del mercato delle «option», pieno al momento di gente convinta che il prezzo potrebbe arrivare – per qualche uragano o per l’allargamento del conflitto mediorientale – a 125 dollari. Ossia 100 euro. Gazprom, forte della fame di ruolo della Russia, ora «con le mani libere» per la crisi del Wto, diventa un player globale. Capace di diventare l’«ottava sorella».