I killer l’hanno atteso con calma, seduti in un caffè. Quando hanno visto che scendeva dall’automobile, gli si sono avvicinati, lo hanno crivellato di colpi, sparandogli a bruciapelo alla testa. Poi si sono dileguati. Non c’è stato nulla da fare per Bassam Farra, 28 anni, giudice della corte islamica di Bani Suheila, alle porte di Khan Yunis e, soprattutto, capo locale di Ezzedin Al-Qassam, il braccio armato di Hamas. La moglie ha raccontato che due giorni fa Farra aveva ricevuto minacce ma non aveva adottato alcuna precauzione, così i suoi assassini non hanno avuto difficoltà ad attuare la loro missione di morte.
Per conto di chi? Il mistero è fitto, ma secondo molti a Gaza quest’ultima esecuzione in stile mafioso non è altro che una vendetta di una «squadra della morte» di Al-Fatah per la strage di lunedì dei tre bambini, figli dell’ufficiale dei servizi di sicurezza Baha Balousha (fedele al presidente Abu Mazen). In serata durante una manifestazione di Hamas in un campo profughi, un uomo ha lanciato una bomba a mano contro il corteo, ferendo alcune persone, e ha scatenato il panico tra la folla. Solo per un miracolo il fuggifuggi non si è trasformato in una tragedia. Poco dopo Israele ha rotto la tregua in vigore dal 26 novembre uccidendo un palestinese che si era avvicinato ai reticolati nei pressi del valico commerciale di Karni.
Tutti i tribunali islamici nei Territori occupati sono stati chiusi e molti commercianti hanno abbassato le saracinesche dei negozi in segno di lutto. Abu Obeida, un portavoce delle Brigate Ezzedin Al Qassam (l’ala militare del movimento islamista, ndr), ha imputato l’omicidio di Farra alle «squadre della morte» legate al servizio di sicurezza preventiva dell’Anp. Il portavoce del ministero degli interni, Khaled Abu Hilal, (un ex dirigente locale di Al-Fatah passato ad Hamas), ha denunciato che dietro questi episodi c’è una «unica logica eversiva». «Le mani che hanno ucciso i bambini (di Balousha) – ha detto – sono le medesime che hanno ucciso Farra. Si vuole creare anarchia nelle strade di Gaza».
Diversi commentatori di Hamas hanno trovato significativo che l’ondata di violenze sia coincisa con la decisione del Comitato esecutivo dell’Olp di suggerire elezioni politiche e presidenziali anticipate: una soluzione che secondo il movimento islamico rasenta un vero e proprio «colpo di mano». Di fronte a queste accuse l’uomo forte di Gaza e principale alleato di Abu Mazen a Gaza, l’ex ministro Mohammed Dahlan, ha reagito facendo la voce grossa. Ha accusato Hamas di «rubare» gli ingenti fondi che i suoi ministri portano nelle valige dall’estero e di aver imposto un silenzio stampa, mediante continue intimidazioni.
A due giorni dal discorso che Abu Mazen leggerà alla nazione sulle sue intenzioni per risolvere la crisi politica interna, la tensione si è fatta altissima e non pochi dubitano che, in questo clima di violenza, il raìs scelga di andare allo scontro frontale con Hamas annunciando ora nuove elezioni legislative e presidenziali.
L’ex negoziatore Saeb Erekat invece ripete, lo ha fatto anche ieri, che Abu Mazen sabato leggerà un «discorso storico», perché «non si può più aspettare». Non è arduo immaginare le pressioni, americane e non solo, al quale il presidente è soggetto in queste ore, con i suoi solerti «consiglieri» che lo spingono ad adottare la linea del pugno di ferro. È probabile però che Abu Mazen, assieme all’annuncio del voto anticipato, lasci la porta aperta alla formazione del governo di unità nazionale che, a suo dire, rimane l’obiettivo principale.
Un compromesso che gran parte della popolazione spera possa essere sottoscritto all’ultimo momento. In ogni caso in Hamas è già scattato l’allarme rosso e il premier Ismail Haniyeh, più per le intenzioni del presidente Abu Mazen che per l’assassinio del giudice islamico, ieri ha accorciato il suo primo tour all’estero e ha annunciato che oggi farà subito ritorno nella Striscia di Gaza. Durante gli incontri avuti nei giorni scorsi, Haniyeh ha raccolto promesse di aiuti da Qatar e Iran per 350 milioni di dollari. Altri 10 li ha messi a disposizione il poverissimo Sudan.