Erano da poco passate le 6 di sera quando ieri i cannoni hanno sparato all’interno della «zona-cuscinetto» creata da Israele nella Striscia di Gaza. Tre colpi, seguiti da altrettanti boati, che hanno «avvertito» i palestinesi, civili e poliziotti, che da quel momento in poi chi metterà piede nell’area interdetta potrà rimetterci la vita. Le cannonate hanno sancito la rioccupazione di fatto di una porzione del territorio di Gaza, a poco più di tre mesi dal ritiro di coloni e soldati israeliani. Non ci saranno i carri armati a sorvegliarla, ma dall’alto gli aerei, gli elicotteri e l’artiglieria saranno pronti a colpire. Si chiama «Operazione cieli blu» e, ufficialmente, ha lo scopo di individuare ed eliminare i palestinesi che lanciano razzi Qassam verso i centri abitati israeliani vicini a Gaza. Il Segretario di stato Condoleeza Rice due giorni fa aveva dato la sua benedizione all’operazione, affermando il diritto di Israele di garantire la sicurezza dei suoi cittadini. Netta invece la condanna del presidente palestinese Abu Mazen. «Israele si è ritirato da Gaza e non può rioccuparla usando il pretesto del lancio dei razzi Qassam che l’Autorità nazionale palestinese ha apertamente criticato», ha detto.
Allo stesso tempo il leader palestinese ha di nuovo invitato i militanti dell’Intifada a cessare le loro attività e a mostrare senso di responsabilità. I gruppi palestinesi da parte loro ripetono che i lanci di Qassam sono la risposta ai raid militari e agli assassinii mirati compiuti da Israele. La «zona-cuscinetto» comprende diversi chilometri quadrati a nord di Gaza. Sulle mappe riportate dai volantini lanciati ieri dall’aviazione israeliana e destinati ai palestinesi, corrisponde all’area occupata fino ad alcuni mesi fa dalle colonie ebraiche di Nissanit, Alei Sinai e Dugit. La zona, dice Israele, è disabitata. I palestinesi contestano questa versione e sostengono che nell’area interessata vivono in tende e container decine di famiglie povere che non hanno una casa. La costituzione della zona-cuscinetto in ogni caso non è legata solo a questioni di sicurezza, come vorrebbe far credere il governo israeliano. A tre mesi esatti dalle elezioni legislative, il premier Ariel Sharon fa uso del pugno di ferro con i palestinesi anche per mettere a tacere le critiche del suo vecchio partito, il Likud, e del resto della destra che contestano l’avvenuto ritiro da Gaza. Potrebbe usare la forza anche in Libano dove ieri i cacciabombardieri israeliani sono tornati a colpire a pochi chilometri da Beirut una base palestinese del Fronte popolare-comando generale di Ahmed Jibril, dopo il lancio di razzi katiusha verso Kiriat Shmona e Shlomi, in Alta Galilea. Intanto superate, almeno per ora, spaccature e lacerazioni, Fatah correrà con una lista unitaria alle elezioni del 25 gennaio, ma questa è l’unica buona notizia per Abu Mazen, in una giornata segnata dalla creazione della zona-cuscinetto ma anche dal sequestro a Rafah di tre cittadini britannici – una volontaria che lavora al Centro per i Diritti Umani «Al Mezan» e i suoi genitori – da parte di un commando delle Pantere nere (Al-Fatah) poco dopo il loro ingresso a Gaza. I rapitori in cambio della loro scarcerazione chiedono l’annullamento di una «lista nera» di 15 capi militari dell’Intifada che non possono lasciare Gaza, concordata, si dice, dall’Autorità nazionale palestinese e Israele.
«Ci presenteremo con una sola lista. Andremo alle elezioni del 25 gennaio uniti in Al-Fatah per ottenere la vittoria» ha dichiarato il ministro e «uomo forte» di Gaza Mohammed Dahlan. Il capolista sarà il «comandante dell’Intifada», Marwan Barghuti (in carcere in Israele), che due settimane fa aveva formato un lista alternativa in polemica con la vecchia guardia del partito. In ogni caso il compromesso non ha significato l’esclusione dalla lista dei candidati di alcuni dirigenti di Al-Fatah poco stimati dalla popolazione. Se al secondo posto figura un altro storico detenuto, Abu Ali Yatta, subito dopo ci sono però gli «impopolari» Umm Jihad (Intissar Al-Wazir), Nabil Shaath e Hakam Balawi.
Ieri oltre sessanta militanti delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa sono entrati nella sede principale della Commissione elettorale a Gaza City, scatenando una sparatoria con le forze di polizia. Un agente è rimasto ferito. A Rafah, un commando armato ha preso di mira un altro ufficio elettorale. A Khan Younis e Deir el-Balah invece uomini armati sono riusciti a farsi strada nelle sedi della Commissione.