Gaza sotto i tank resiste disperata

Chilometro dopo chilometro, centro abitato dopo centro abitato. La rioccupazione israeliana di Gaza, cominciata mercoledì sera con il ritorno dei mezzi corazzati nelle località del nord della Striscia dove, fino alla scorsa estate, si trovavano tre colonie ebraiche, ha avuto ieri un’ennesima giornata di sangue. Israele sostiene di voler impedire il lancio di razzi palestinesi verso Sderot e Ashqelon, ma carri armati e blindati ieri non hanno perlustrato le campagne o sorvegliato i terreni coltivati da dove i militanti dell’Intifada sparano i Qassam. Sono entrati all’interno di Beit Lahiya, infilandosi in strade strette, tra le case, ingaggiando, con l’aiuto dell’aviazione, violenti scontri a fuoco con i combattenti palestinesi che sfidando la morte non hanno esitato ad affrontare i Merkava israeliani. Scene che a molti hanno fatto rivivere i momenti drammatici dell’assedio di Beirut nel 1982, con i civili che lasciano le loro case e scappano in preda al panico mentre nelle strade i muqawiyyin, eredi dei fedaiyyn, rispondono con armi leggere alle raffiche di mitragliatrice pesante. A sud, verso Rafah, in altri intensi ma più brevi combattimenti, i palestinesi hanno danneggiato con i lanciagranate Rpg, due bulldozer militari e un blindato di Israele. Al termine della giornata 22 palestinesi – tra cui alcuni civili – risultavano morti, undici dei quali di Beit Lahiya, e altri 46 feriti. Sul terreno è rimasto anche un soldato israeliano colpito da un cecchino palestinese nel quartiere di Atrata, a conferma che, in ogni caso, la rioccupazione di Gaza non sarà una passeggiata. In serata il ministro dell’interno dell’Anp, Said Siyyam (Hamas) ha rivolto un appello alla mobilitazione generale, chiamando tutti alle armi.
Ospedali e mezzi di soccorso sono in stato di massima allerta, nessuno ha dubbi: i carri armati proseguiranno la loro avanzata mentre nelle retrovie i militari israeliani consolideranno la «zona di sicurezza» creata ufficialmente per impedire il lancio dei Qassam. Ieri sera gli israeliani erano a tre-quattro chilometri da Gaza city e controllavano la strada che costeggia il mare. Al momento però non è giunto alcun ordine di evacuazione degli stranieri a Gaza – tra cui diversi cooperanti italiani – e ciò induce a credere che l’occupazione del capoluogo non è, per ora, nei programmi immediati dei comandi militari israeliani. Da parte sua il ministro degli esteri Tzipi Livni ha dichiarato che le operazioni cesseranno non appena i palestinesi libereranno il caporale Ghilad Shalit, preso nel corso di un attacco il 25 giugno da un commando palestinese, e non spareranno altri razzi. Il padre del soldato prigioniero, Gilad Shalit, ha invitato polemicamente il governo israeliano ad avviare uno scambio liberando un certo numero di prigionieri palestinesi in carcere per ottenere la liberazione del figlio. Ieri è stata la prima volta che Noam Shalit, questo il suo nome, ha rotto il silenzio e invitato ad uno scambio di prigionieri, come chiesto dal movimento della resistenza islamica di Hamas. «So che un rilascio di prigionieri era già in agenda – ha sostenuto il padre del soldato – già prima dell’incidente e non capisco perché non si possa procedere con esso se può contribuire al rilascio di un soldato mandato dallo stato in prima linea. Sappiamo che bisognerà pagare un presso per la libertà di Gilad. Non capisco perché il governo sta dilazionando i negoziati». Si aggrava intanto la situazione umanitaria. «Gaza è allo stremo», ha denunciato ieri la Caritas di Gerusalemme: «Le abitazioni non hanno luce e acqua, la centrale elettrica è stata danneggiata, l’ospedale principale opera grazie ad un generatore di corrente ma potrà andare avanti non per molto. Ad aggravare la situazione è la mancanza di benzina e gasolio». Cresce anche la disperazione dei più poveri. Si registrano fenomeni di saccheggio in alcune fabbriche nel nord della Striscia. Intanto ieri il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha condannato le operazioni militari israeliane a Gaza.