A poco più di due mesi dal ritiro unilaterale israeliano dalla Striscia di Gaza – da molti considerato un passo che avrebbe comunque favorito il processo negoziale di pace – la situazione sembra invece regredire giorno dopo giorno verso la ripresa di un sostanziale stato di
guerra; il tutto aggravato da una situazione interna, nella Striscia, che sembra sfuggire ad ogni controllo e mette in evidenza la debolezza
dell’Autorità nazionale palestinese. Una debolezza che certamente chiama in causa la responsabilità di Israele, per la sistematica opera di delegittimazione portata avanti negli ultimi cinque anni, ma che investe anche la situazione interna in campo palestinese, con i conflitti tra
le diverse fazioni e fra queste (o parte di queste) e la polizia dell’Anp. Così abbiamo da un lato il ripetersi di lanci di razzi Qassam,
tanto inefficienti dal punto di vista “militare” quanto controproducenti per i pretesti che offrono a Israele, che infatti risponde con
continui bombardamenti aerei e terrestri e sottraendo sostanzialmente al controllo dell’Anp porzioni del territorio evacuato in ottobre. Dall’altro vediamo una Autorità palestinese che tenta invano di mettere sotto controllo i gruppi armati e che in realtà non riesce a impedire i suddetti lanci di Qassam. Su un terzo versante assistiamo invece a sparatorie tra gruppi rivali (ieri addirittura fra un clan familiare e la polizia) e a nuovi assurdi, quanto inaccettabili, sequestri di stranieri, per di più impegnati a sostegno della popolazione civile palestinese. Infine a Tulkarem, in Cisgiordania, c’è stato un attentato suicida con 4 vittime. Da mercoledì pomeriggio e per tutta la notte successiva l’artiglieria e l’aviazione israeliana hanno continuato a colpire una zona di circa 16 chilometri quadrati nel nord della Striscia di Gaza che le autorità militari hanno unilateralmente dichiarato “zona interdetta” ai palestinesi in quanto da essa verrebbero appunto lanciati i Qassam; l’operazione, denominata “Cielo blu”, continuerà – ha detto il vice-premier israeliano Ehud Olmert – «per tutto il tempo necessario a garantire che gli attacchi con razzi contro di noi si riducano e spariscano ». La zona è scarsamente abitata i residenti sono stati avvertiti con volantini di mettersi al sicuro. Ieri sono state bombardate e distrutte sei strade che porterebbero ai luoghi di lancio dei Qassam; in quell’area, prima del ritiro, sorgevano le colonie ebraiche di Dugit, Eley Sinai e Nissanit. L’Autorità nazionale palestinese ha reagito alla proclamazione di questa zona «di interdizione » o «di sicurezza» con una ferma protesta, definendola una palese violazione della sua sovranità e accusando il governo Sharon di voler rioccupare gradualmente il territorio sgomberato ad ottobre. E sembra dargli indirettamente ragione il presidente della Commissione esteri e difesa della Knesset, Yuval Steinitz, secondo il quale l’operazio- ne in corso non potrà fermare i lanci di Qassam e dunque «prima o poi dovremo lanciare una offensiva terrestre nella Striscia di Gaza». Intanto, come si è detto, continuano i conflitti interni e gli episodi di violenza incontrollata. Mentre sembra sia stato raggiunto un accordo tra le fazioni di Fatah, dopo le sparatorie dei giorni scorsi, ieri nel rione Sajjaya di Gaza un commissariato è stato assalito da un gruppo di uomini armati e nella sparatoria sono morti un agente e un civile; l’episodio non avrebbe connotazioni politiche, almeno dirette, ma sarebbe la reazione di un clan familiare all’arresto di un giovane per motivi di droga; esso comunque conferma i problemi di ordine pubblico esistenti a Gaza, dove circolano ancora troppe armi incontrollate nonostante gli sforzi della polizia dell’Anp. A Rafah, nel sud della Striscia, sono stati invece sequestrati da miliziani armati l’operatrice umanitaria scozzese Kate Burton, di 23 anni, e i suoi genitori che erano arrivati a Gaza per visitarla; la Burton lavora da due o tre mesi per un’organizzazione palestinese, il Centro Al Mezan per i diritti umani, e risiede a Gaza città; mercoledì aveva accompagnato i genitori a visitare Rafah quando una decina di armati hanno costretto i tre a salire su una Mercedes bianca. Secondo fonti palestinesi si tratterebbe di elementi delle Pantere nere, una fazione laterale di al Fatah; il sequestro, a differenza dei precedenti, non si è risolto in poche ore, le indagini e le trattative per risolvere la questione sono proseguite anche ieri. Sia questo che gli altri sequestri hanno comunque di mira non gli ostaggi in quanto tali ma l’Autorità palestinese, che i miliziani sottopongono
a pressione con questo mezzo del tutto inaccettabile. All’altro estremo dei territori palestinesi, e precisamente a Tulkarem nel nord della Cisgiordania, si è verificato un attentato suicida che ha provocato la morte di un soldato israeliano e di tre palestinesi. Il kamikaze, che apparterrebbe alla Jihad islamica, era in realtà diretto in Israele per colpire una località imprecisata; l’intelligence israeliana era stata però messa sull’avviso ed erano stati istituiti nella zona dei posti di blocco volanti. Proprio a uno di questi check-point è stato fermato il palestinese, il quale vistosi scoperto si è fatto senz’altro saltare in aria. Questa la ricostruzione dei fatti secondo il sito internet del giornale Haaretz; si parla di una donna che sarebbe stata un secondo kamikaze, ma sarebbe poi risultato che si trattava di una delle vittime, anche se manca la certezza. Nei giorni scorsi si era svolta una riunione di vertice dell’Anp con i rappresentanti di tutte le organizzazioni palestinesi e la Jihad islamica era stata l’unica a rifiutare esplicitamente di rispettare la tregua, in vigore almeno teoricamente.