Nuova giornata di guerra intestina a Gaza. Nuovi scontri a fuoco. Ieri non ci sono stati morti come il giorno precedente, “solo” tredici feriti. Almeno sei dei quali non armati. Erano ragazzini che andavano a scuola.
Di nuovo due versioni dei fatti. Secondo Hamas, esponenti della polizia “parallela” governativa, di cui fanno parte principalmente membri delle brigate Ezzedim el-Qassam, braccio armato del movimento islamico al governo nei territori palestinesi, avrebbero fatto irruzione nell’abitazione di Samir Mashrawi, dirigente di Fatah, il partito del presidente Abbas sconfitto alle elezioni legislative del gennaio scorso, per liberare tre miliziani legati ad Hamas.
Circostanza negata da Fatah, che accusa invece Hamas di tenere nel mirino Mashrawi, in quanto alto dirigente dei servizi di sicurezza preventiva. Ancora una volta, la sola certezza sulla dinamica del confronto è lo scambio di fuoco tra opposte fazioni legate ai due blocchi di potere palestinese. Per strada, tra la gente del quartiere Tuffa di Gaza City.
Poche ore dopo la sparatoria, Musheer Al Masri, membro del Consiglio legislativo palestinese ha diffuso la notizia di un attacco degli agenti delle forze di sicurezza preventiva al consigliere politico del primo ministro Ismail Haniyeh, Ahmad Yousef, uomo di primissimo piano a Gaza e deus ex machina della politica dell’attuale governo. Secondo le rivelazioni di Al Masri, Yousef è stato fermato e picchiato ad un posto di blocco improvvisato e le sue guardie del corpo tradotte in un edificio dei servizi di sicurezza. Servizi di fatto non controllati dal ministro degli interni di Hamas, che dopo la nomina presidenziale a capo degli stessi di Rashid Abu Sbak, delfino dell’ex Ministro degli interni Mohammed Dahlan (Fatah), rispondono al vecchio blocco di potere palestinese. Da qui l’esigenza da parte del movimento islamico, di inventarsi una forza armata definita “volontaria”, ma di cui di fatto fanno parte uomini di Hamas, sconfessata a livello istituzionale dalla presidenza di Abu Mazen.
In serata un attacco di militanti di Hamas al funerale dei morti di Fatah del giorno prima ha fatto altri tre feriti.
Appare evidente che le riunioni tra i due schieramenti seguite alle vicende di lunedì per porre fine a spargimenti di sangue a Gaza e per prevenirne l’insorgere in West Bank, non siano andati a buon fine, così come si erano risolti in un nulla di fatto i colloqui del fine settimana tra presidenza e governo che affrontavano questioni cruciali, come la sicurezza, la gravissima situazione economica ed il blocco degli aiuti ai palestinesi, l’isolamento internazionale e lo stallo dei negoziati con Israele.
Hamas è di fatto paralizzata nell’azione di governo. Una paralisi che per molti versi gioca a favore della vecchia guardia, in particolare di quelle sacche di potere che Hamas aveva messo sull’avviso in campagna elettorale, promettendo di applicare “legge ed ordine” nei confronti di chi aveva lucrato sulle sofferenze dei palestinesi, ovvero di aprire files sulla corruzione di esponenti di Fatah.
“Ho chiesto ai leader di Fatah e Hamas di assumersi la piena responsabilità affinché cessino questi incidenti che hanno creato disagio” ha affermato ieri il primo ministro Haniyeh. Parole che suonano come una replica di quelle del giorno precedente.
Mentre un messaggio indirizzato al premier è giunto dalle Brigate martiri di Al Aqsa, il braccio armato di Fatah, “chiediamo al primo ministro che controlla Hamas di agire contro coloro che stanno minando la sicurezza della nostra gente e di punirli, altrimenti saranno le nostre pistole a punire i colpevoli”.
E da Ramallah (West Bank) il presidente Abbas ha espresso rincrescimento verso coloro che creano caos ed incitamento alla violenza. “La vera battaglio che ci troviamo di fronte” ha dichirato Abu Mazen è quella contro un assedio economico internazionale”.
A questo proposito Abbas ha reso noto di aver inviato una missiva al “quartetto” (Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite) affinché nel prossimo incontro discuta dell’erogazione di fondi ai palestinesi con metodi alternativi al versamento nelle casse dell’Autorità nazionale palestinese, di cui oggi fanno parte uomini di Hamas, causa. L’affermazione politica del gruppo islamico è alla base della decisione da parte dell’occidente di chiudere i rubinetti degli aiuti. Con l’aggravante che le banche, comprese quelle arabe, non concedono crediti per timore di incorrere nelle sanzioni relative a relazioni con organizzazioni terroristiche. Ed Hamas è classificata come tale.
La gravissima crisi economica che colpisce i palestinesi, a Gaza in particolare, dipende anche dalle “chiusure” imposte da Israele.
All’ospedale Shifa (Gaza City) le carenze di farmaci per patologie croniche, hanno già fatto diversi morti. Ieri il Dr. Mo’awiyah Abu Assanain ha spiegato che su 600 bambini affetti da patologie epatiche, 150 necessitano di dialisi frequente. Altrimenti moriranno.