Gaza, la tregua dopo il sangue

Le esplosioni dei razzi anticarro, seguite da lunge, interminabili, raffiche di mitra, hanno svegliato tutta Gaza ieri all’alba. Boati inquietanti giunti fino al lungomare dove hanno messo in agitazione le guardie presidenziali che presidiano Rimal, la zona più ricca della città. «Non uscite, rimanete in casa, si stanno di nuovo ammazzando tra di loro», ha urlato alla moglie e ai figli il signor Abu Ghalion, capo di una famiglia facoltosa che ha messo da parte una fortuna fabbricando mattoni e piastrelle. Aveva ragione l’anziano capofamiglia palestinese. Dopo una notte di tensione, in cui si sono mosse veloci le ombre dei miliziani di Hamas e Al-Fatah, piazzati ad ogni angolo di strada o nascosti come cecchini sui tetti, i servizi di sicurezza fedeli ad Abu Mazen hanno deciso di farla pagare cara alla tanfisiyeh, la forza di pronto intervento di Hamas, accusata di aver ucciso la sera prima un attivista di Al-Fatah a Jabaliya. Khaled, uno dei guardiani dell’ospedale Shifa ha raccontato l’accaduto con la voce rotta dall’emozione: «Sono entrati nel recinto (dell’ospedale) a bordo di un’ambulanza. Sono scesi all’improvviso e hanno fatto fuoco contro la tanfisiyeh usando un lanciarazzi. Uno di Hamas è stato dilaniato dall’esplosione». In serata uno dei feriti è spirato in ospedale.
Attacco dopo attacco, rappresaglia dopo rappresaglia, la guerra civile che secondo una storica portavoce palestinese, Leila Shahid, ha già superato ogni limite, è fatta di vendette, ma poco alla volta sta assumendo le caratteristiche tipiche di un conflitto fatto di strade e quartieri controllati da questa o da quella fazione. «Attraversare il centro di Gaza city è molto pericoloso, perché quelli di Hamas e Fatah si sparano addosso senza alcun freno. Corri il rischio di prenderti una pallottola in testa mentre sei fermo a comprare il pane», dice Jafar, un autista di una ong internazionale. Oltre ai proiettili a volare adesso sono anche i razzi e i colpi di mortaio, ne sanno qualcosa gli scolari finiti ieri nel fuoco incrociato in Via Galaa. Alcuni bambini sono stati colpiti e le mamme disperate, urlando e tenendosi il viso tra le mani, correvano come stormi di uccelli verso l’ospedale.
Al centro culturale Shawwa, alle spalle del monumento ai martiri, i militari della guardia presidenziale con il volto coperto non discutono di come mettere fine alla occupazione israeliana ma di come «farla pagare a quelli di Hamas». «Quello che decide il presidente per noi non solo è un ordine ma un impegno da portare a termine anche a costo della vita», ha spiegato un militare con il volto coperto che non ha voluto rivelarci il nome. I miliziani di Hamas invece pensano di combattere per la gloria di Dio e per la redenzione della Palestina islamica. «Quelli di Fatah sono kuffar (infedeli), vogliono toglierci il governo per allearsi con i sionisti, ma Dio non consentirà tutto questo», ha commentato Abu Omar, un agente della tanfisiyeh. E così si continua a morire: in attacchi contro le caserme, ai campi militari di Forza 17 o nelle sparatorie che divampano in strada. Sei morti e decine di feriti è il bilancio della giornata più insanguinata di questa assurda guerra tra Hamas e Fatah. Tra i morti due agenti delle forze di sicurezza fedeli ad Abu Mazen sequestrati e ammazzati a sangue freddo con un colpo alla nuca e lasciati in mezzo a una strada. I miliziani delle due parti pronti ad uccidere e a morire per i loro leader nemmeno sanno che ieri in Cisgiordania, alle porte di Tulkarem, una ragazzina palestinese di 13 anni è stata uccisa dai soldati israeliani perché si era avvicinata troppo al muro che strangola i Territori occupati mentre giocava con una sua coetanea. Anzi l’escalation di violenze interne potrebbe allargarsi presto alla Cisgiordania dopo il rapimento, avvenuto nell’ospedale Ahli di Hebron, di un medico di Hamas da parte di uomini armati e con il volto coperto.
Il premier Ismail Haniyeh ieri pomeriggio ha lanciato un appello alla calma e all’unità nazionale e ribattuto punto su punto alla requisitoria pronunciata sabato contro il suo governo da Abu Mazen. In serata le due parti avrebbero raggiunto un accordo: un’altra tregua che prevede il ritiro dalle strade di tutte le milizie. Poche ore prima Haniyeh aveva sostenuto che Hamas ha dato prova di flessibilità politica pur di costituire un governo unitario. Se ciò non è avvenuto, ha spiegato, «lo si deve a una decisione segreta di rovesciare il nostro governo, una decisione ispirata dagli Stati Uniti». Haniyeh ha detto che la violenza esplosa a Gaza è una conseguenza della «bomba politica» lanciata da Abu Mazen convocando elezioni anticipate. Il premier infine ha indicato la via di uscita dalla crisi: la costituzione di un governo unitario, con la disponibilità di Hamas a esaminare l’iniziativa di pace saudita del 2002 (normalizzazione delle relazioni del mondo arabo con Israele, condizionata a un ritiro totale dai Territori). La strada del governo di unità nazionale forse verrà presa in esame nel vertice Haniyeh-Abu Mazen ad Amman che re Abdallah ha proposto ieri, nelle stesse ore in cui riceveva a sorpresa ad Amman il premier israeliano Olmert. Nella capitale giordana Olmert potrebbe incontrare presto anche Abu Mazen. La radio israeliana ieri ha riferito che il presidente siriano Assad avrebbe fatto arrivare una lettera riservata a Olmert, attraverso la diplomazia tedesca, con un’offerta di ripresa delle trattative. Olmert e Assad hanno smentito la notizia.