Gaza, Hamas e Fatah divise anche sul “giorno della terra”

La popolazione araba di Israele ed i palestinesi residenti nei territori occupati di Cisgiordania e Gaza hanno celebrato ieri lo “Youm al-Ard”, la Giornata della Terra. L’anniversario cade in memoria delle manifestazioni popolari di protesta contro la confisca nel 1976 di terre di villaggi arabi della Galilea da parte dello Stato ebraico, che imputava tale necessità all’incremento dello sviluppo economico della zona. In occasione dello sciopero generale per denunciare la politica di espropriazione, il 30 marzo dello stesso anno una manifestazione sfociò in scontri con la polizia. Sei cittadini arabi rimasero uccisi a Sakhnin (Galilea), dove ieri si è svolta la principale manifestazione tenutasi in Israele, dove il 20% della popolazione è costituito da cittadini arabi residenti prima del ‘48. Nel corso degli anni la celebrazione del “Land Day” si è trasformata nel simbolo della più generale rivendicazione dei diritti negati dei palestinesi, con iniziative allargate a tutto il mondo arabo interessato dalla diaspora dei rifugiati palestinesi. Nei Territori occupati le manifestazioni si sono trasformate in proteste contro le ulteriori sottrazioni di terra determinate dalla costruzione del “Muro”, la “barriera di difesa” secondo la definizione del governo Israeliano.
Ieri a Bil’in, villaggio-simbolo della protesta contro l’esproprio di terreni privati palestinesi destinati alla costruzione del muro, una manifestazione a cui hanno partecipato alcune centinaia di attivisti israeliani e palestinesi è degenerata in scontri con le forze dell’ordine israeliane, con alcuni feriti. L’Alta Corte di Giustizia ha accolto un ricorso degli abitanti di Bil’in che chiedevano una modifica del tracciato del muro che taglia terreni agricoli palestinesi. Per l’avvocato dei residenti del villaggio Michael Sfard, il percorso muro è giustificato dalla decisione di espandere l’insediamento ebraico di Modìin Illit, piuttosto che da esigenze di “sicurezza nazionale”. Nel villaggio di Ras ‘Atiya (sud di Qalqilya), le donne dell’ Iternational Women’s Peace Service (Iwps) hanno organizzato una manifestazione per denunciare la separazione del villaggio dall’adiacente località di Habla.
Alla vigilia delle celebrazioni dello “Youm al-Ard”, un rapporto dall’Ufficio Statistiche dell’Anp, ha reso noto che nel 2006 la densità di popolazione in Cisgiordania ha raggiunto la cifra di 432 persone per kmq, mentre nella Striscia di Gaza la stessa densità arriva a 3955, con un picco di 6.833 persone per kmq a Gaza City. Questa situazione deriva, oltre che da un alto tasso di natalità, dalla compressione di rifugiati in campi di accoglienza e del resto della popolazione in spazi abitativi che si sono andati via comprimendo. In Cisgiordania anche in relazione all’aumento degli insediamenti illegali. Intervenendo via cavo ad una conferenza organizzata dal ministero per i Rifugiati palestinese a Gaza per lo “Youm al-Ard”, il capo dell’ufficio politico di Hamas a Damasco, Khaled Meshal, ha riaffermato l’aderenza del movimento islamico al principio del diritto al ritorno, mentre per il portavoce del premier Haniyeh Ghazi Hamad: «Nessuno può strappare ai palestinesi il diritto alla loro terra con il pretesto che portare indietro sei milioni di rifugiati nelle terre spossessate nel ’48 è troppo difficile». Un chiaro riferimento alla posizione israeliana che ritiene il diritto al ritorno «fuori discussione». Il principio della “terra in cambio della pace” come sola via per porre fine al conflitto arabo-israeliano, riaffermato durante 19esimo vertice della Lega Araba che rilancia ufficialmente l’iniziativa di pace araba del 2002, sancisce il ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967, la creazione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme est e una soluzione «giusta» della questione del ritorno dei rifugiati o un “equo risarcimento” per questi ultimi. Soluzione apparsa accettabile o almeno negoziabile per Abbas, ma non per Hamas. Al termine del vertice saudita il quotidiano israeliano “Yedioth Ahronoth” ha rivelato l’esistenza di un piano israeliano-americano-saudita, per risolvere la questione con una nuova iniziativa “finanziario-diplomatica” che prevede risarcimenti per i palestinesi che accettino di restare nei paesi di “residenza”, mentre per chi intendesse “fare ritorno”, la destinazione sarebbe costituita dalla Cisgiordania e Gaza. Abbas, lanciando un appello al popolo israeliano, ai paesi arabi e alla comunità internazionale per «non sciupare un’altra occasione», è consapevole del fatto che «nell’impossibilità di attuarne una soluzione l’intera regione sarà sotto nuove minacce di confronti regionali e internazionali». Ma sulla questione del diritto al ritorno occorre mantenere la porta aperta ad una realistica soluzione di compromesso con lo stato ebraico, quella «giusta soluzione» ancora da discutere, mentre il premier Haniyeh a Riyad si è astenuto dal votare a favore del rilancio della piattaforma di pace del 2002.