Gaza, dipendenti pubblici in piazza

Strada sempre più in salita per l’esecutivo palestinese guidato da Ismail Haniyeh (Hamas). A cinque giorni dallo sciopero generale dei dipendenti pubblici previsto a partire dal prossimo due settembre, il sindacato dei lavoratori, schierato in larga maggioranza con il partito del presidente Abbas, Fatah, ha organizzato manifestazioni antigovernative presso le sedi del Consiglio legislativo paletinese a Ramallah (West Bank) e a Gaza City, dove si sono registrate le proteste più accese. I manifestanti hanno fatto irruzione nelle aule parlamentari provocando la reazione delle forze dell’ordine, con conseguenti scontri ed esplosione di colpi di arma da fuoco in aria. Un’altra manifestazione ha visto coinvolti neolaureati che reclamavano posti di lavoro.
Le ragioni della protesta dei dipendenti pubblici palestinesi sono ormai note. Non ricevono lo stipendio (se non qualche acconto a singhiozzo) in conseguenza dell’embargo economico imposto da parte di Stati Uniti e Unione Europea all’Anp da quando Hamas si è insediato al governo (marzo).

Per il movimento islamico alla guida dell’esecutivo palestinese le manifestazioni di dissenso sono frutto del boicottaggio di Fatah, che dalla formazione di un nuovo governo (previsto espressamente nel cosiddetto “accordo dei prigionieri” e sottoscritto da tutte le fazioni politiche), ha tutto da guadagnare. Anche tra le fila del partito di Abbas aumenta il dissenso. Secondo il quotidiano israeliano “Jerusalem Post” alcuni giovani attivisti e dirigenti di Fatah minacciano «un’Intifada contro la vecchia guardia» se non si procederà a riforme interne. Il Comitato centrale del partito, riunito la scorsa settimana ad Amman, non è riuscito nell’obiettivo di indire una riunione per eleggere una nuova leadership, mentre ha autorizzato il presidente Abu Mazen ad avviare colloqui con Hamas e le altre fazioni palestinesi sulla formazione del governo di unità nazionale, al momento unico spiraglio per fuoriuscire da una situazione politico-istituzionale, nonché economica, ormai insostenibile.

Hamas aveva vinto le elezioni dello scorso gennaio issando il vessillo della lotta alla corruzione che aveva caratterizzato il governo dell’Anp fin dalla sua fondazione. Altro punto di forza della campagna elettorale di Hamas era stata la lotta alla criminalità clanica ed al caos e l’impunità dilaganti nei territori palestinesi. Su tutto questo aleggiava la promessa di una più efficace lotta contro l’occupazione israeliana, avanzata da un movimento considerato credibile dal punto di vista della “resistenza armata”.

Nessuno di tali obiettivi è stato portato a termine. Inoltre con la vicenda del rapimento del caporale israeliano Ghilad Shalit, sequestrato il 25 giugno scorso da un commando di miliziani palestinesi cui hanno preso parte le brigate Ezzedin el-Qassam, braccio armato di Hamas, la leadership politica del movimento ha dimostrato una totale mancanza di autorità sull’operato delle fazioni armate. Elemento peraltro in comune con l’ala politica di Fatah, come dimostrano gli altri rapimenti susseguitisi a Gaza ed i ripetuti scontri con morti e feriti, che hanno anche visto il coinvolgimento di civili, intervenuti tra le fazioni armate facenti capo ai due principali poli del potere politico palestinese.

Se le continue chiusure imposte da Israele a Gaza hanno avuto effetti nefasti sull’import di beni di prima necessità, non sembrano aver intaccato il movimento di armi e munizioni, di cui finora non si è registrata la mancanza tra le milizie.

Secondo dati di cui i servizi di sicurezza israeliani dichiarano di disporre, dopo il “disimpegno” sarebbero stati contrabbandati a Gaza dall’Egitto, circa 15mila fucili, 4 milioni di proiettili, 2.300 pistole, 38 razzi, decine di missili anti-tank, 15 tonnellate di tritolo e 10-15 katyusha del tipo usato in Libano. Per il capo dello Shin Bet Yuval Diskin, attraverso la Philadelphi Route (fascia di sicurezza tra Gaza ed Egitto), si può contrabbandare di tutto, «eccetto forse un tank o un aereo». La Striscia di Gaza si starebbe trasformando in un «gigantesco deposito di armi e di munizioni». Dopo tre o quattro anni di un simile commercio, secondo Diskin, gli israeliani potrebbero trovarsi ad affrontare una situazione del tutto simile a quella fronteggiata nel sud del Libano.

Forse è in base a questa prospettiva che Israele potrebbe aprirsi all’idea, finora senza precedenti, di una presenza di interposizione internazionale a Gaza e persino in Cisgiordania.

Secondo quanto riferito ieri dal quotidiano israeliano “Ha’aretz”, al ministero degli Esteri si è discusso sul fatto che «un successo della nuova Unifil potrà aprire la strada a un piano sostitutivo per quello, oramai morto, di convergenza» per il ritiro unilaterale israeliano da alcune zone dei territori. In questa direzione il primo, passo potrebbe essere quello della richiesta di un rafforzamento del mandato degli osservatori dell’Unione europea al valico di Rafah, al confine fra Gaza e l’Egitto. Secondo “Ha’aretz”, nelle prossime settimane il generale Pietro Pistolese (comandante della missione Ue a Gaza, ndr) discuterà con esponenti della sicurezza israeliana sul rafforzamento del mandato degli osservatori.

In attesa del delinearsi di una prospettiva concreta su una forza d’interposizione, anche ieri si sono ripetute nella Striscia di Gaza le incursioni dell’esercito israeliano, che hanno provocato tre morti ed almeno 5 feriti.

Altri due palestinesi appartenenti alla Brigate martiri di Al Aqsa sono stati uccisi durante un’altra operazione militare dell’Idf a Balata (Nablus), in Cisgiordania.

Da Damasco, il leader esiliato di Hamas, Khaled Meshal, a cui fa capo la fazione armata del movimento islamico, ha informato il reverendo ed attivista americano Jesse Jackson, che ha avviato un tentativo di mediazione per la liberazione dei militari israeliani sotto sequestro a Gaza ed in Libano, che il soldato Shalit, «è vivo e trattenuto in un posto sicuro».