Gaza, corteo per Alan Johnston, scontri tra giornalisti e agenti dell’Anp

La vita di Alan Johnston varrebbe per ora cinque milioni di dollari. Ma il prezzo potrebbe continuare a salire. Dipende da quante volte se lo rivenderanno quelli che lo tengono ostaggio, che per esclusione, a meno che il reporter non sia stato portato fuori da Gaza, apparterrebbero ad alcune “teste calde” del clan dei Dughmush, una potente famiglia di Gaza, in parte malavitosa, che allargata conta 11mila persone, concentrate principalmente nella zona di Sabra, quartiere Zaitun di Gaza City.
“Gente in vendita al migliore offerente, Al-Qaeqa inclusa. Dei cani sciolti che non hanno appartenenza politica, tanto è vero che in non poche occasioni si sono messi la divisa di Fatah o Hamas a seconda di chi gli dava lo stipendio”, rivela una fonte a Gaza. Dopo ore di angoscia seguite alla diffusione del comunicato a firma delle brigate “Tawhid w al Jihad”, Jihad e Monoteismo, la mancata distribuzione dell’annunciato video dell’esecuzione del corrispondente della Bbc, riaccende la speranza che sia ancora vivo. Le rassicurazioni da parte del governo per i giornalisti di Gaza lasciano il tempo che trovano. La rabbia a Gaza monta dopo un nuovo giorno di silenzio sulla sorte del reporter, ormai il 37esimo, verso un governo considerato non all’altezza di gestire la situazione a Gaza, né di garantire l’incolumità del loro collega e amico Alan Johnston, stimato e rispettato per la sua presenza costante sul campo accanto a loro, ma anche per essere rimasto l’unico corrispondente a risiedere nella Striscia, dove era arrivato tre anni fa e da cui si apprestava a partire a fine marzo. “Il governo ha piena responsabilità per questa situazione. A Parigi 3000 poliziotti riescono a tenere in mano la città. Se questo governo non riesce con 70mila poliziotti a garantire la sicurezza di Alan Johnston a Gaza deve solo andare a casa”, dichiara a Liberazione Shahadi Al-Kshif, direttore a Gaza dell’agenzia di stampa palestinese Ramattan. “Ai tempi del disimpegno qui c’erano 4000 giornalisti. Adesso sono al massimo 10 quelli che continuano a venire. 17 giornalisti rapiti in due anni e nessuno è andato in galera. Si sono arresi (l’Anp, n.d.r.) anche davanti alle richieste più banali”.
Ieri mattina i giornalisti di Gaza, che hanno dato vita al “Comitato per la protezione dei giornalisti” impegnato in iniziative pubbliche, manifestazioni e un sit-in permanente per la liberazione di Johnston allestito sulla Piazza del milite ignoto, dove sorge il parlamento a Gaza City, hanno marciato in circa un centinaio verso l’edificio dell’assemblea parlamentare invocando “verità sulla sorte di Alan”. Hanno chiesto di entrare per parlare con un portavoce. Poi hanno cercato di fare irruzione nei locali dell’assemblea e sono stati respinti con la forza dalle guardie del Parlamento. Anche se a Gaza il rapimento Johnston e degli stranieri in generale è considerato “una vergogna” da parte dei cittadini, una “modalità che non rispecchia il volere dei palestinesi” che “danneggia la causa palestinese, i giornalisti sono gli unici ad aver dato vita ad una forma di protesta organizzata. Quello che gli fa più rabbia è l’ambiguità dimostrata dal governo dell’Anp. Se si sa che Alan è vivo, significa che esiste un canale di comunicazione con i rapitori, dunque si sa chi sono. Se, come rivelato da più fonti, nonostante le smentite della Bbc e del governo britannico, era pronta un azione di forza per liberarlo, impedita dal governo britannico, si sa anche dove si trova. Secondo il comitato per la protezione dei giornalisti di Gaza i rapimenti passati di giornalisti erano organizzati da individui o piccoli gruppi che hanno usato gli ostaggi per motivi politici, tipo far rilasciare il fratello in galera, oppure per ottenere un posto di lavoro nell’Anp. I 14 giornalisti rapiti tra il 2004 ed il 2005 erano stati rilasciati dopo poche ore. La cosa si risolveva con qualche telefonate di questo o quel referente politico. “Gaza è troppo piccola per nascondere anche uno spillo” dice un giornalista di Gaza. Poi ad agosto del 2006 un gruppo sconosciuto denominato “Brigate della santa Jihad” rivendica il rapimento del corrispondente della Cnn Steve Centenni e del cameraman Olaf Wiig e gira due video stile iracheno degli ostaggi, che verranno liberati illesi 13 giorni dopo il rapimento. Il 12 marzo scorso è toccato ad Alan Jonston. Dustin, il ragazzo canadese impiegato presso un’agenzia internazionale che abita nello stesso palazzo in cui vive Alan racconta che quando ha saputo del rapimento, mentre si trovava a Gerusalemme in trasferta, ha pensato, come tutti, che sarebbe stato rilasciato dopo poche ore.
Sulla sorte di Johnston invece non ci certezze.