E’ tregua, fragile, vacillante, ma tregua e Gaza city finalmente respira. I miliziani armati di mitra e lanciarazzi ieri hanno cominciato a lasciare le strade, a rimuovere i posti di blocco e i commercianti hanno riaperto i negozi nel centro della città attraversato nuovamente dall’abituale fiume di automobili. La giornata primaverile e il mare azzurro ti portano automaticamente ad immaginare le potenzialità di questo lembo di terra, senza l’occupazione israeliana, l’assedio economico e, ora, la lotta inter-palestinese.
Mai rilassarsi troppo a Gaza, le brutte sorprese non mancano mai. I colpi d’arma da fuoco che riecheggiano dal quartiere di Sabra ti ricordano che poche ore prima, con il cessate il fuoco già in vigore, Hamas e Fatah si sono dati battaglia. Uccisi due agenti della sicurezza nazionale – il bilancio totale di vittime è salito a 14 – e durante i funerali centinaia di militanti di Al-Fatah hanno sparato in aria, invocato la vendetta e dato alle fiamme una decina di automobili appartenenti a presunti simpatizzanti di Hamas. Le scuole sono rimaste chiuse anche ieri, in segno di protesta contro i miliziani di Hamas e Fatah che dandosi battaglia hanno messo più volte in pericolo intere scolaresche. «Attenzione, il comportamento di questi combattenti armati, spesso ragazzi di 18-19 anni, continua ad essere una minaccia costante per tanti civili innocenti. E’ necessario che il ritiro di questi armati dalle strade sia immediato e totale», ha messo in guardia Raja Sourani, del Centro palestinese per i diritti umani di Gaza.
Si parla di un prossimo vertice ad Amman tra il presidente Abu Mazen ed il premier Haniyeh ma il faccia a faccia volto a mettere fine alla escalation di scontri e alla crisi politica non è stato ancora fissato, i tempi appaiono ancora lunghi. Come scrivevano ieri i quotidiani israeliani, nella capitale giordana Abu Mazen con più probabilità vedrà il premier Ehud Olmert, forse il primo gennaio.
Nel frattempo sulla scena della tragedia palestinese cerca ancora una volta di recitare una parte il numero due di Al-Qaeda, il medico egiziano Ayman Zawahri, dando sciabolate non solo all’ «infedele» Abu Mazen ma anche ad Hamas, reo di aver accettato il sistema democratico palestinese. Già un anno fa, quando il movimento islamico presentò i suoi candidati alle elezioni in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, Zawahri intervenne per bacchettare i dirigenti di Hamas che, a suo dire, avevano smarrito la retta vita. Ieri è tornato alla carica. In un messaggio trasmesso da Al Jaazira ha criticato gli islamisti palestinesi per aver riconosciuto il ruolo di Abu Mazen «l’uomo degli americani». Il braccio dstro di Osama bin Laden ha aggiunto che queste scelte porteranno al «soffocamento del jihad» e all’assedio dei combattenti islamici. «Come mai Hamas non ha chiesto una costituzione islamica prima di fare le elezioni? Non vogliono forse loro che la parola di Dio abbia la supremazia?». Secondo Zawahri, accettando il principio di elezioni «laiche», Hamas è stato trascinato a fare una serie di concessioni: «in primo luogo accettando di adeguarsi a risoluzioni internazionali, poi al principio di un governo di unione nazionale che alla fine l’hanno portato a farsi espellere dal potere».
Il n. 2 di Al-Qaeda cerca di fare proselitismo tra i palestinesi portando la polemica in corso ormai da più di un anno con Hamas su un terreno squisitamente religioso. E il movimento islamico palestinese ad una sfida del genere non può non rispondere. «Hamas non ha affatto abbandonato la resistenza – ha replicato il portavoce Salah Bardawil – la resistenza può esprimersi in forme diverse, fra cui anche la partecipazione ad elezioni e all’inserimento nella vita politica». Bardawil ha aggiunto che il jihad può avere «sia aspetti militari che politici» e che Hamas ha scelto il coinvolgimento nella politica proprio per bloccare «le estorsioni» che dall’estero venivano esercitate a danno della popolazione nei Territori occupati, a partire dagli accordi di Oslo fra Olp ed Israele, nel 1993.
Il contrasto tra Hamas e Al-Qaeda non è destinato ad esaurirsi con queste poche battute. Anche perché Zawahri non si arrende al fatto che, a causa proprio della popolarità di Hamas, Al-Qaeda non sia riuscito sino ad oggi a creare una sua struttura operativa a Gaza. «Il problema di Osama bin Laden e Zawahri sta nella natura del conflitto israelo-palestinese – ci ha spiegato l’analista palestinese Muoin Rabbani, dell’ufficio di Amman dell’International crisis group – si tratta di un confronto militare e politico che va indietro nella storia e che alla sua base ha il controllo della terra. La religione negli ultimi anni è diventata più importante ma rimane solo una componente di questo conflitto». Rabbani ha sottolineato che lo stesso Hamas, «pur proclamandosi un movimento religioso, in realtà ha sempre svolto un ruolo politico nelle vicende interne palestinesi e, più di tutto, non ha vocazioni jihadiste globali. Il suo obiettivo dichiarato è la liberazione della Palestina e ha compiuto azioni armate solo contro Israele». Secondo esperti palestinesi sino ad oggi solo gruppetti isolati di islamisti radicali palestinesi hanno abbandonato Hamas in nome di Al-Qaeda.