“Cattivi segnali”
Editoriale prima pagina de il manifesto 3.6.05
di Gabriele Polo
E’stata una brutta festa. Saranno state anche poca cosa – come minimizza la questura di Roma – ma quelle botte distribuite ieri a un piccolo corteo pacifico, mentre a poche centinaia di metri la Repubblica si celebrava in armi, segnano un pessimo compleanno. Non s’era mai visto condizionare lo svolgimento di una manifestazione all’esposizione di uno striscione considerato «offensivo» per il ministro degli interni. Poco importa che quel pezzo di stoffa fosse ben poco insultante: o le forze dell’ordine si considerano i tutori della dignità di un ministro – riducendosi a guardia privata – oppure l’ordine di ripiegare lo striscione incriminato è sintomo di qualcosa di più grave e profondo.
Non sappiamo se quanto successo ieri sia frutto di un disegno prestabilito, se Giuseppe Pisanu voglia ricamarsi addosso l’etichetta di uomo forte magari applicando anche ai cortei le inutili direttive sugli stadi di calcio (dove, per altro, si leggono cose infinitamente peggiori e da cui non sarà certo estirpata la violenza con provvedimenti di polizia). O se la «malattia» del G8 di Genova continua a infettare questo governo. Ma, forse, dovremmo «limitarci» a considerare anche il ministro degli interni niente di più che un sintomo. Quello dello stravolgimento profondo dei diritti fondamentali da parte di una rappresentanza politica sempre meno rappresentativa, sempre più autonoma dalla società perché in crisi profonda. Una questione che chiama in causa il degrado della democrazia, il cambiamento per via «amministrativa» delle regole fondamentali della Repubblica.
Il 2 giugno non è solo l’anniversario del referendum che cacciò i Savoia e inaugurò la storia repubblicana. Quel giorno del 1946 venne votata anche l’Assemblea costituente, in cui vennero eletti i rappresentanti che in nome del popolo e sull’onda della resistenza antifascista stilarono la Carta fondamentale dell’Italia democratica. Quella Carta, all’articolo 21, afferma che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Un dettato che ieri è stato violentato da un ordine insensato impartito da un gruppo di tutori dell’ordine che a quella Carta giurano fedeltà. In questo rovesciamento di senso vediamo l’aggressione alla Costituzione e la sua revisione concreta, dopo le tante «limature» e annunci di modifica fatti in sede istituzionale. E’ ciò che è accaduto sulla guerra (violazione dell’articolo 11), ciò che è successo sul lavoro e sui diritti sociali (ignorando gli articoli 1 e 3). Un elenco che potrebbe continuare mettendo a confronto le scelte politiche con il testo costituzionale. Una serie di fatti formano un processo, quello in atto dà tristemente corpo a uno spaventoso stato post-costituzionale.
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“Roma: la polizia carica i pacifisti”
di Checchino Antonini
Liberazione, 3 giugno 2005
Sulla rotaia del tram che va a Trastevere il sangue resterà a lungo, seccato dal sole di giugno. Qualcuno prova a fare ombra su Gualtiero Alunni, stramazzato tra due auto e ferito alla nuca da una manganellata, con una bandiera dei Cobas. Al S. Camillo gli metteranno sette punti ma, ha perso troppo sangue, passerà la notte in ospedale. Alunni, 52 anni, è un assessore municipale di Rifondazione, lo conoscono tutti. Ha le idee chiare e un carattere dolce.
Sono appena passate le 13. La furia di 200 tra agenti e carabinieri in assetto di guerra non è durata molto. Quanto bastava per mandare all’ospedale Alunni, ferire un altro ragazzo e lasciare segni su altre schiene e teste. Manganelli impugnati alla rovescia che fanno più male. Manganelli che sfasciano macchine parcheggiate. Inorridisce il capo di gabinetto di Veltroni, Luca Odevaine, che tenta di avvicinare il responsabile della piazza. Ma in quel momento il funzionario sembra posseduto da uno spirito maligno. Gli dà del «testa di cazzo», come a chiunque altro gli capiti a tiro. A pochi metri due agenti in borghese, superdotati e ben armati, minacciano pesantemente il vicepresidente del consiglio provinciale, Nando Simeone (Prc), che tiene il tesserino bene in vista mentre cerca di verificare le condizioni di Michele Monopoli, 38 anni, malconcio e ammanettato come un animale in un Ducato della celere. Diranno di averlo fatto solo per identificarlo. Diranno tante cose, perfino che non ci sono state cariche ma solo reazione a insulti e lanci di sassi e bastoni. Tenteranno di far credere che 200 robocop surriscaldati siano stati circondati da un centinaio, tante ne erano rimaste, di persone abbigliate come per andare al mare. Un video della questura mostra qualche pacifista indignato che alza la voce. I tg conieranno l’inedita frase di “striscione non autorizzato”.
Forse, però, è il caso di iniziare dal principio. Sono passate da poco le 11 quando 200 pacifisti muovono da Porta S. Paolo verso Campo de’ Fiori per sfiorare appena la zona rossa della parata militare che celebra la partecipazione italiana alla guerra globale. Pochi minuti dopo il brusco stop da parte di un cordone massiccio di agenti con i rinforzi che arrivano sgommando dalla Bocca della Verità. La versione ufficiale, sciorinata in piazza dai dirigenti di ps, recita di uno striscione avvistato dall’elicottero. Dicono che rappresenterebbe un vilipendio. Lo andiamo a leggere: “Pisanu: la vergogna dell’Italia, chiudiamo i Cpt”. E’ un lenzuolo striminzito parecchio dietro il camion d’apertura che reca la parola d’ordine del corteo: meno spese militari, più spese sociali. Il poco popolo che gli va dietro è fatto da gente di Rdb, Cobas, Rifondazione, centri sociali, Action, collettivi universitari, alcuni venuti anche da Napoli come Francesco Caruso, altri da Milano. Lo striscione “non autorizzato” è stato scritto dagli stessi antirazzisti che, pochi giorni fa, hanno protestato fino a convincere la compagnia aerea Blu Panorama a non fornire velivoli per i rimpatri forzati di migranti. Ora cercano di mettere in piedi un osservatorio su Ponte Galeria, il Cpt romano, e un’unità di crisi nazionale.
Il diktat delle polizie di consegnare lo striscione ricorda a qualcuno quello che succedeva quando Kossiga era presidente e non gradiva che si ricordasse quello che fece a Giorgiana Masi. La trattativa è concitata. Russo Spena, deputato Prc, chiede in base a quale legge sia possibile la sospensione di una manifestazione. E chi lo sa!, rispondono candidi i funzionari lasciando intendere che l’ordine viene dall’alto, più in alto dell’elicottero dalla vista aguzza. Il prefetto, interpellato telefonicamente, declina ogni responsabilità, il questore non avrebbe saputo fornire spiegazioni.
Si decide così di portare in testa lo striscione e di iniziare una pressione simbolica sulla muraglia di caschi, anfibi e optional che, però, non fa una piega. Volano parole e spintoni ma sembra finita lì, dopo un lungo faccia a faccia dove la muraglia blu mostra perfino un minimo di umanità. Il corteo gira su se stesso e fa per tornare sui suoi passi passando per le strade interne di Testaccio. E’ allora che i cordoni di guardie perdono la testa. Non ci vuole granché ad accerchiare i pochi manifestanti rimasti. Manganelli rovesciati e giù botte e insulti e una poliziotta arraffa lo striscione, ormai celebre, e scappa come una rugbista. La vista del sangue sembra placare celerini e carabinieri. Può passare l’ambulanza per Gualtiero, può aver luogo una prima assemblea all’ombra della Piramide per ragionare insieme sull’impressionante salto di qualità della repressione. Si dirà del deficit democratico di un paese dove non si può dire che i Cpt siano una vergogna (Fiom), verrà denunciata l’assenza di certa sinistra – i grandi giornali hanno ignorato completamente la controparata – che ha lasciato i pacifisti in balìa del regime (Bastaguerra) sacrificandoli a un rapporto più morbido con la guerra e il governo (Progetto comunista del Prc). Naturalmente Cobas, Action, e Rifondazione chiedono anche di risalire alla filiera delle responsabilità, domandano una presa di posizione del centrosinistra. Martedì prossimo alla Provincia ci sarà una grande assemblea cittadina.