Concretamente, l’aiuto per il terzo mondo sarà per ora limitato a 1,2 miliardi di dollari per un Fondo terapeutico destinato a combattere aids (36 milioni di persone colpite, 25.300.000 persone malate nella sola Africa sub-sahariana, già 22 milioni di morti), malaria (la pricipale causa di morte nel mondo) e tubercolosi (una malattia che ritorna in forze, mentre sembrava sconfitta).
Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, è venuto ieri a Genova a chiedere ai ricchi almeno sette miliardi di dollari per combattere questi flagelli. Ma Berlusconi resta ottimista: “Altri paesi oltre ai G8 incrementeranno il fondo” (per esempio la Svezia ha già stanziato 70 milioni di dollari), e poi c’è la fede nel liberismo: “I privati, le fondazioni, le multinazionali” e… lo stesso Berlusconi, che sulla scia di Bill Gates, “naturalmente corrisponderà”.
Jacques Chirac si è detto “fiero” per questa decisione, che “non sarebbe mai stata presa senza il G8”, che trova quindi qui una delle sue ragioni di essere. “E’ un vero messaggio di speranza, un vero gesto di solidarietà del nord verso il sud” ha aggiunto il presidente francese, che rivendica l’iniziativa (era stata una proposta francese dell’87, finora accettata solo dall’Onu-Aids).
Ma l’organizzazione “Medici senza frontiere” ha accolto con estremo scetticismo l’istituzione del Fondo globale per la salute, già pianificato allo scorso G8 di Okinawa. Il problema non è il Fondo in sé, che è una buona cosa, ma le sue modalità di attuazione, che non sono state definite. Medici senza frontiere afferma che “fintantoché non verrà definita una chiara strategia che preveda la possibilità di usare i finaziamenti per acquistare dai produttori di generici, inclusi quelli del sud del mondo, il fondo rimarrà sostanzialmente un sussidio alle industrie farmaceutiche americane ed europee”.
In sostanza, dovrebbe generalizzarsi e diventare la pratica usuale quello che sta già avvenendo in Brasile o diventerà possibile in Sudafrica. Il problema è appunto l’accesso ai farmaci: le triterapie, diffuse al nord, costano estremamente care. Le cifre parlano chiaro, non solo per l’aids: il 75 per cento della popolazione mondiale, che vive nei paesi in via di sviluppo, rappresenta meno del 10 per cento del mercato farmaceutico mondiale. E ogni anno, sottolineano ancora Medici senza frontiere, “14 milioni di persone muoiono di malattie infettive e parassitarie. Il 90% vive nei paesi in via di sviluppo”. “I bisogni di milioni di persone vengono ignorati perché, in un mondo il cui mercato è sempre più globalizzato, queste persone economicamente non esistono”, afferma Ellen Hoen della Campagna per l’Accesso ai farmaci essenziali di Msf.
Ieri, Kofi Annan ha ringraziato per “lo straordinario sostegno espresso nei confronti della lotta mondiale all’aids”. Il segretario generale dell’Onu ha sottolineato che “per la prima volta si sta assistendo all’emergere di una risposta a questa patologia letale, una riposta che – ha aggiunto – inizia ad essere pari alla portata dell’epidemia”. Ma lo stanziamento è ancora lontano dai 7-10 miliardi di dollari che, secondo Annan, sarebbero necessari.
Infatti, in Africa è l’ecatombe. Ancora nel ’96, l’Organizzazione mondiale della sanità prevedeva 10 milioni malati per il 2000. In realtà sono più del doppio. E mentre questo disastro sanitario si espande (il contagio è essenzialmente eterosessuale e si somma ad altri virus, come l’herpes), scoppia lo scandalo dei medicinali, prodotti al nord e venduti a un prezzo impossibile per il sud. Nel ventesimo anniverario della scoperta del virus, finalmente le pressioni delle associazioni e dei paesi del sud ottengono qualcosa: le casa farmaceutiche accettano di abbassare i prezzi. Ora il G8 finanzia, anche se in modo incompleto, il Fondo mondiale, che nasce sotto l’egida dell’Onu. “La lotta contro l’aids è la mia principale priorità” non si stanca di ripetere Kofi Annan. Il disastro africano è noto, mentre restano incertezze sullo sviluppo in Asia. Qui il virus è arrivato tardi, sembra limitato ad alcuni paesi (la Cambogia, per esempio), ma la sola ipotesi di un 1 per cento di malati in India (per non parlare della Cina) fa tremare.