G8, giorno nero per la polizia

Tre attacchi in pochi minuti: prima manganellate ovunque, poi colpi sulla testa, infine calci in faccia. Il risultato è la rottura di otto costole, la foratura di un polmone, la frattura di una mano, un trauma cranico, e varie contusioni: dodici giorni in ospedale in stato di arresto e piantonato da uomini armati, poi ospitato dal consolato britannico, sotto protezione diplomatica, fino al 4 agosto 2001. E’ successo a Mark Covell – mediattivista britannico, ascoltato ieri in aula – pochi istanti prima dell’irruzione alla Diaz da parte delle forze dell’ordine. Giunto a Genova per seguire le manifestazioni contro il G8, Covell si stabilisce nel media center della Pascoli. A tarda sera del 21 luglio entra per la prima volta, insieme a un amico, nella Diaz; poco dopo qualcuno avverte dell’arrivo della polizia «per una retata». Covell prova a scappare: il suo amico riesce a rifugiarsi nella Pascoli, lui no. Poco dopo è circondato da cinque poliziotti: «Urlavo “sono un giornalista”, ma un poliziotto con il manganello mi ha detto “tu sei un black bloc e noi ammazzeremo i black bloc”. Mi hanno picchiato in ogni parte del corpo». Seguiranno altre due aggressioni, nell’arco temporale che va dall’arrivo della polizia, con il ricordo delle camionette, fino all’entrata nella Diaz. La «perquisizione» si manifesta fin da subito nella sua violenta foga: «Provai a correre per scappare, ma non c’era modo di fuggire; mi manganellarono alle ginocchia. Temevo per la mia vita». Non è ancora finita, perché ci sarà un terzo drammatico attacco: «Sono arrivati altri poliziotti che mi hanno raggiunto e mi hanno dato dei calci nei denti e colpi dietro la testa. A quel punto ho perso conoscenza». Fino a quel momento Covell vede i movimenti concitati dei poliziotti: nel video mostrato in aula sono riconoscibili gli agenti del settimo nucleo del primo reparto mobile di Roma, allora capeggiato da Vincenzo Canterini. Non è un caso che l’avvocato più agitato sia proprio Silvio Romanelli, difensore di Canterini e dei suoi uomini.

Nonostante il video costituisca una prova documentale incontestabile, la difesa si appella a questioni tecniche: il controesame dell’avvocato infatti è una prolungata contestazione alle dichiarazioni rese in precedenza da Covell, con toni bruschi e provocatori, specie quando chiede al teste «se sa leggere».

Le responsabilità dei «Canterini boys» – dieci dei quali rinviati a giudizio per i pestaggi – sono sottolineate anche dal terzo teste della giornata, Steffen Sibler, manifestante tedesco picchiato al primo piano della scuola Diaz. Se la deposizione di Covell è un racconto drammatico circa le reali intenzioni dei poliziotti intervenuti, è processualmente rilevante anche la sobria narrazione del ragazzo tedesco. Durante l’esame ha infatti descritto e riconosciuto l’uniforme del settimo nucleo, differente dalle altre divise per il famoso cinturone nero e per il «tonfa» in dotazione, sottolineando inoltre la presenza di un «graduato», giunto sul posto per placare la violenza dei suoi sottoposti, oltre a confermare la versioni di altre vittime del pestaggio già ascoltate in aula.

Per quanto riguarda la posizione di Covell – che dovrà ancora essere operato alla spina dorsale e a una mano – esiste anche un procedimento contro ignoti per tentato omicidio. Il suo avvocato, Massimo Pastore, ha sottolineato l’omertà delle forze dell’ordine per i riconoscimenti. Dal pm Enrico Zucca, in una delle pause del processo, una frecciata all’atteggiamento odierno del collegio difensivo dei poliziotti: «Guardano il dito, mentre noi mostriamo la luna».