Fuoco sui reporter: marines alla sbarra

Si può fare, si può indagare sull’omicidio di José Couso, il cameraman di Tele5 ucciso l’8 aprile 2003 a Baghdad quando le truppe americane entravano nella capitale irachena e un blindato sparò a una finestra dell’Hotel Palestine, occupato dai giornalisti. Lo ha deciso ieri il Tribunal Supremo, la più alta istanza giuridica spagnola (a parte la Corte costituzionale), che discuteva il ricorso della famiglia Couso. I parenti di David chiedevano la riapertura del caso dopo che nel marzo di quest’anno l’Audiencia Nacional, il pubblico ministero locale, si era dichiarato incompetente a istruire il processo. Ieri il Tribunale supremo, all’unanimità, ha ribaltato la decisione e riaperto la partita: la giustizia spagnola è competente nell’omicidio Couso. E lo è grazie ad una sentenza del Tribunale costituzionale dell’ottobre 2005 che ha stabilito la competenza spagnola anche per i delitti di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità compiuti al di fuori de territorio spagnolo. La sentenza di ieri segna quindi anche una nuova pagina nella dottrina della giustizia universale, una giustizia che spesso fa a botte con il diritto internazionale, da sempre basato sui fatti compiuti più che sui principi.
Il Tribunale non ha ancora presentato l’atto ufficiale della decisione, atteso per la settimana prossima, ma la notizia, filtrata dalla stampa, ha già seminato la felicità nella famiglia del cameraman e tra i suoi amici, accorsi ieri di fronte alla sede madrilena del Supremo. «Viva la giustizia di questo paese! – grida Javier Couso, fratello di David – per quanto i responsabili siano ufficiali e sottoufficiali dell’esercito degli Stati uniti, sono dei presunti criminali di guerra». «E’ incredibile. La decisione apre un panorama nuovo – precisa al telefono Pilar Hermoso, legale della famiglia – adesso l’Audiencia Nacional dovrà riaprire l’istruttoria e ripresentare la richiesta di emissione degli ordini di cattura internazionali (per i tre militari americani implicati nell’omicidio, ndr). Poi il ministro della giustizia dovrà presentare le richieste alle autorità Usa. Ci saranno delle pressioni politiche, vedremo come si muovono le pedine, ma una cosa è chiara: la giustizia spagnola è competente e il processo deve andare avanti, come si doveva fare da tempo».
Fin qui tutto bene, il proseguo è della vicenda appare però assai incerto. Gli Stati uniti non arrestano e non inviano all’estero i propri militari anche se giudicati colpevoli, semplicemente perché Washington li considera al di sopra di qualsiasi giurisdizione aliena. Inoltre in Spagna non esiste il processo in contumacia per cui anche il giudizio in absentia, dall’alto valore politico, non si può fare. «Sappiamo che è un cammino molto difficile – commenta Javier Couso – ma la cosa importante è che la decisione c’è, che la nostra giustizia c’è, e che ora chiederemo agli Usa, con dignità, cosa è successo quell’8 di aprile».
Quell’otto aprile 2003 il sergente Thomas Gibson della Compagnia A del Reggimento di blindati numero 64 della Terza divisione di fanteria corazzata dell’esercito Usa sparava dal suo carro Abraham un proiettile diretto verso l’Hotel Palestine, esattamente verso il piano in cui Couso con il collega ucraino della Reuter Taras Protsiuk riprendeva i carri armati statunitensi. Entrambi morirono, altri giornalisti e tecnici dell’agenzia britannica rimasero feriti. Gibson, al microfono di Tele 5, affermò: «Non ho sparato immediatamente. Ho chiamato i miei capi e ho detto loro cosa avevo visto (il riflesso di una lente sul balcone dell’hotel, ndr). Dieci minuti dopo mi hanno chiamato e mi hanno detto di sparare. Questo ho fatto». Fu il suo superiore immediato, il capitano Philip Wolford, ad autorizzare lo sparo, come afferma in un’intervista a Le Nouvel Observateur. A prendere la decisione fu però il tenente colonnello Philip De Camp: «Mmi dispiace dirlo, ma sono io il tipo che ha ucciso i giornalisti», si legge nel Los Angeles Times dell’11 aprile 2003. A sua discolpa il colonnello dice di non aver avuto scelta, perché le sue unità erano sotto il fuoco iracheno. La palla al governo Zapatero, chiamato a emettere gli ordini di cattura internazionali. Una bella palla, ma non facile.