Lucian Bogda Capatini aveva sedici anni e un lavoretto estivo. Ma non un contratto né un permesso di soggiorno. Irregolare per l’ispettorato del lavoro, irregolare per la Bossi Fini. In una parola: invisibile. Lucian era rumeno e da un anno a questa parte viveva a Terracina con la madre. Studiava, aveva finito il secondo anno di Ragioneria.
E da quando la scuola aveva chiuso si era trovato un lavoretto per arrotondare il magro bilancio familiare. Così da un mese circa faceva l’imbianchino, lavorava con Silviano Pannozzo (piccolo imprenditore 52 anni del Comune del Circeo) e con un suo
connazionale di qualche anno più vecchio: Ciprian Sescu, 20 anni, anche lui immigrato clandestino anche lui assunto a nero. Anche lui un invisibile. Lucian, Silviano e Ciprian erano insieme anche ieri mattina quando una scarica da 20mila volts passata attraverso la struttura metallica del ponteggio che stavano spostando ha folgorato il titolare dell’impresa e il suo lavoratore più giovane. Salvo per miracolo Ciprian, che ha fatto appena in tempo a togliere le mani dell’impalcatura prima che il ferro diventasse fuoco e la terra gli esplodesse sotto i piedi. È ferito lievemente, trema e non riesce ancora a spiegarsi come si sia potuto salvare.
«Una scarica da 20mila volts è come una spada che ti trapassa il corpo. È incredibile quello che riesce a fare e i danni che procura». Il tecnico dell’Enel chiamato a controllare i cavi dell’alta tensione pesa le parole e le soffia fuori sotto i baffi come un «Ave Maria» appena biascicata. I sanitari del 118 hanno appena portato via i cadaveri di Lucian e Silviano, e sulla strada sterrata che costeggia questi tre villini a due piani lungo la striscia d’asfalto che porta a Borgo Vodice, pochi chilometri fuori Terracina, restano una delle ruote di gomma del ponteggio, carbonizzata, una colata di plastica fusa che fino a qualche ora prima era chissà cosa, e alcune piccole macchie nere. I punti in cui la corrente elettrica “ha scaricato” in terra dopo essersi fatta strada nei corpi dei due lavoratori. Finito di imbiancare una parete, i tre stavano spingendo il ponteggio fuori da uno dei cancelli per ricominciare il lavoro dall’altra parte, fra una palma ed un vaso di fiori. Un attimo di disattenzione, forse un calcolo sbagliato, più probabilmente un maledetto azzardo, e la struttura metallica ha urtato i cavi dell’alta tensione.
L’agonia di Lucian e Silviano è durata un attimo, Ciprian è salvo solo perché ha avuto la prontezza di riflessi di mollare la presa quando qualcuno ha gridato: «Attenti ai cavi!». Troppo tardi. Il richiamo di Ferdinando Di Vincenzo, ispettore di polizia in servizio al commissariato di Terracina e proprietario assieme alla moglie di una delle tre villette (le altre appartengono ai fratelli di lei che vivono all’estero, uno in Sud Africa l’altro in Messico) è arrivato in ritardo come il rombo del tuono. La saetta, però, si è già abbattuta e i due cadaveri sono lì a terra a pochi passi dalla Ford Focus grigia di Pannozzo. Sono le 8:30 e i soccorsi arrivano pochi minuti più tardi assieme ai vigili del fuoco e agli agenti del commissariato di Terracina, ma ormai ci sono soltanto da riempire carte, verbali e pratiche fredde di burocrazia. Arriva anche il sostituto procuratore di Latina Raffaella De Pasquale e gli ispettori del lavoro.
Poche ore più tardi la mamma di Lucian è nel commissariato di Terracina piegata dal dolore, davanti agli agenti di Polizia sviene quando le raccontano di come il suo piccolo sia morto facendo un lavoro da grande, lui come gli oltre duecento ragazzi sotto ai 19 anni che nel 2005 hanno perso la vita sul posto di lavoro (su un totale di 1200 morti bianche). Ciprian è poco più lontano e trema ancora. È sconvolto e sa di essere nei guai per via di quel permesso di soggiorno che non ha e forse non avrà mai. Un ostacolo che non ha impedito a Silviano Pannozzo di assumerlo: manodopera irregolare, costa poco e non si lamenta. Si corre qualche rischio, ma la si fa quasi sempre franca. Quasi, però, perché soltanto pochi mesi fa l’imprenditore di Terracina era già stato denunciato per sfruttamento di manodopera clandestina. Lui, come chissà quanti altri, aveva continuato lo stesso, altro giro altri disperati a cui dare un lavoro. «Ma adesso mi devono mille euro – sussurra Ciprian – li voglio, mi servono».
Eppure, giurano i sindacati di categoria, non sono molti i lavorato extracomunitari impiegati nel settore dell’edilizia in questo bellissimo spicchio di Lazio affacciato sulla Campania. Circa il 10% degli iscritti alla cassa edile, dicono i dati, nulla rispetto al 50% di Roma o all’80% di Milano. Molti però sono gli extracomunitari assunti «a nero»: i più ricattabili, quelli che pretendono meno in soldi e sicurezza. «Eppure questo ennesimo incidente – commenta Salvatore D’Incertopadre, segretario generale della Cgil in provincia di Latina – dimostra la scarsa attenzione delle imprese al problema della sicurezza. Un problema reso ancora più grave dal ricorso ai lavoratori in nero. Per questo non ci stanchiamo di chiedere più controlli ispettivi e pene più severe per i trasgressori». Richieste che Cgil, Cisl e Uil torneranno a fare martedì, giorno per il quale dopo l’incidente di Terracina è stato indetto uno sciopero di 15 minuti nel settore privato.