FT, a Romano Prodi accuse inverosimili

Quel che sorprende dell’attacco a Prodi del Financial Times non è il fatto che il noto giornale britannico non abbia avuto il “fair play” di attendere la formazione del nuovo governo di centro-sinistra in Italia, ma il livello di incompetenza dimostrato nelle critiche rivolte dal giornale.
Lasciamo stare per il momento l’osservazione che la «risicata vittoria della coalizione guidata da Romano Prodi costituisce il peggior esito immaginabile in termini di possibilità dell’Italia di rimanere nell’eurozona oltre il 2015», perché il debito pubblico italiano già raggiunge il 106 per cento del Pil. Viene da dire: ebbene? Ne costituiva il 110 per cento alla fine del 2001, eppure questo non ha impedito all’Italia di introdurre l’euro come unica moneta nel 2002.

E’ da restare trasecolati però nel leggere che c’è il timore che «l’Italia segua l’Argentina sulla strada della rovina». Evidentemente l’ideologia neoliberista può fare uscire di senno! La situazione dell’Argentina era alla vigilia del tracollo della sua economia totalmente diversa sul piano internazionale. Come scriveva una delle sette banche centrali del Sistema della riserva federale degli Stati Uniti (non certo un covo bolscevico), la Federal Reserve Bank di San Francisco, nella Economic Letter del 18 aprile 2002 dal titolo Learning from Argentina’s Crisis, alla fine del 2000 l’Argentina non solo mostrava un rapporto del 51 per cento fra il debito estero e il Pil, ma il rapporto di tale debito con le esportazioni era del 471 per cento; una situazione ben diversa da quella registrata dalla Corea del Sud all’apice della crisi valutaria del 1997-1998, quando il suo rapporto debito estero/esportazioni era del 78 per cento.

Qual è la situazione dell’Italia oggi? Il suo debito estero sul Pil è del 7,8 per cento alla fine del 2005 e il rapporto fra il debito estero e le esportazioni è pari al 30 per cento: siamo cioè lontanissimi dalla situazione argentina.

Torniamo al problema del debito pubblico italiano: i conti finanziari dell’Italia, calcolati dalla nostra banca centrale per la fine del 2004, ci dicono che il totale delle attività finanziarie, pari per definizione al totale delle passività finanziarie, mostrava come consistenza 9.627 miliardi di euro. A fronte di una posizione di quasi equilibrio delle società finanziarie, le imprese avevano passività nette di 1.226 miliardi e le amministrazioni pubbliche di 1.318 miliardi, contro attività nette di 103 miliardi per l’estero e di ben 2.678 delle famiglie. Detto in soldoni, in Italia il debito pubblico, e quello delle imprese, è coperto dalle famiglie e solo una parte marginale dall’estero.

Perché allora tutto questo rumore per nulla? Perché i neoliberisti di tutte le latitudini vedono come il fumo negli occhi un governo che potrebbe non obbedire ai diktat neoliberisti del tipo di quelli imposti dal Fondo monetario internazionale all’Argentina, portandola alla rovina. L’unico vero obiettivo del pensiero unico è quello di accrescere a dismisura le disuguaglianze di reddito fra una ristrettissima cerchia di ricchissimi e una moltitudine di precari, working poors, poveri che lavorano: i primi usano gli altissimi redditi non per investire nelle imprese, ma per allargare a dismisura i consumi di lusso, che distruggono l’ambiente e sono il brodo di coltura del terrorismo dei disperati, da combattere poi col terrorismo di stato.