Fs: «Spezzare le schiene» o «gioco di sponda»?

«Una follia». I ferrovieri non usano mezzi termini. La scelta delle Fs di far saltare la procedura di conciliazione non ha infatti senso giuridico né amministrativo. L’azienda si è detta disposta a riassumere Dante De Angelis come «usciere», riconoscendo implicitamente che il «rapporto di fiducia» con il lavoratore non è venuto meno (era questa la motivazione del licenziamento). Ma non vuole ricollocarlo nella sua mansione, quella di macchinista, declassandolo. Non può più neppure invocare l’esistenza di un’inchiesta del tribunale di Bologna sull’operato di Dante – che si era rifiutato di guidare un eurostar dotato del «pedale a uomo morto» – perché quel tribunale ha già sentenziato: il rifiuto era legittimo e supportato dai pareri di numerose Asl e università italiane.
Dunque: perché tanta rigidità in una vertenza che certamente si concluderà con la vittoria legale di De Angelis e il suo reintegro? Anche al ministero delle infrastrutture sembrano piuttosto stupiti. Davano per scontato che, al massimo, Fs avrebbe preso ancora un po’ di tempo, giusto per non dare l’impressione di un cedimento verticale. E invece si son trovati di fronte a una scelta di rottura che ha costretto i lavoratori a effettuare lo sciopero già proclamato. E a minacciarne altri. Possibile che le Fs non si preoccupino affatto del normale funzionamento del servizio? Sarebbe assurdo.
E allora perché? Fs è un’azienda operativamente «autonoma», ma l’azionista unico è lo stato; che infatti nomina i vertici. Elio Catania e il suo gruppo dirigente erano stati nominati dal governo Berlusconi, anzi dal ministro Pietro «tunnel» Lunardi. Una lettura sbrigativamente «politicista» di tanta belligerante intransigenza rischia di scivolare nella dietrologia. Ma si potrebbe tranquillamente pensare che un certo «management» non sopporti di avere come riferimento istituzionale un ministro che dichiara di apprezzare l’oratoria di Fidel. E a pensar troppo male si fa peccato.