La prima cosa che si deve dire del bel libro di Gennaro Carotenuto Franco e Mussolini(Sperling & Kupfer, pp. 242, euro 17,00), uscito proprio in occasione del trentesimo anniversario della morte del dittatore spagnolo è che “colma una lacuna”. Come è noto questo è il più desiderato riconoscimento per qualsiasi storico. Ma in questo caso ciò non è vero solo dal punto di vista filologico, perché il libro colma anche e forse soprattutto una lacuna politica e morale. L’autore mostra di avere acquisito un dominio sulla materia per certi versi incredibile, seguiamo passo passo personaggi luoghi tempi circostanze, quasi come in un peraltro documentatissimo romanzo: alle persone come me le rievocazioni consentono che una serie di ricordi e sentimenti prendano il
loro posto, e vecchie e radicate sensazioni abbiano il loro giusto spessore.
Devo prima di tutto dire che l’opinione che Franco avesse evitato al suo popolo la sciagura dell’entrata in guerra con la scelta della neutralità per abile capacità manovriera era molto diffusa: ricordo mia madre che lo aveva in grande odio perché lo giudicava uno proprio cattivo di natura, uno crudele, feroce, diceva però sempre che era un cattivo furbo capace di non fare le scemenze di Mussolini a proposito di guerra. Il racconto di Carotenuto fa giustizia di questo diffuso giudizio e ci mostra un uomo certo cattivo ed egoista, ma non capace di governare gli eventi, anzi furbescamente e piattamente succube di essi.
Atteggiamenti opportunistici si vedono intorno a Mussolini come a Franco per salvarsi la pelle. Gli internati militari italiani nei campi nazi usarono il ricorso alla lettera del diritto (benché in condizioni ben peggiori di quelli qui citati), dovendo far fronte alle decisioni del re e di Badoglio, che li lasciarono esposti a qualsiasi possibile pericolo di vita: fecero appello alla “fedeltà al giuramento” reso al sovrano. Così fanno anche i funzionari di ambasciata e altri personaggi del regime per defilarsi dopo che l’Italia firma l’armistizio: così fecero nella prima grande prova di resistenza al fascismo migliaia e migliaia di soldati e ufficiali italiani catturati dai nazi.
Stranamente l’unica maniera di fermare Hitler era di avere una qualche ragione giuridica da opporgli mio padre era un mazziniano
fervente e quando dalla prigionia ci scrisse che gli avevano proposto di aderire alla repubblica di Salò, ma che lui aveva giurato fedeltà al re e non poteva, pensammo che fosse ammattito e solo dopo ci raccontò che era stata l’unica maniera di non aderire.
Era tutto molto confuso e incerto, come si vede anche nella narrazione di vicende della storia grande e di personaggi famosi, era difficile prendere decisioni. Tanto più ridimensionato risulta Franco che si sottrae, si defila, resta nascosto e senza personalità:
decisero persone semplici e con coraggio e determinazione e in condizioni difficili, rischiose, non i “grandi”. Per sapere se qualcuno riconosceva la repubblichina come stato legittimo, anche noi partigiani aspettavamo qualche indizio.
Morì sul finire del 1943 il vescovo di Novara (la mia città natale) e tutti ci chiedevamo che cosa avrebbe fatto la chiesa, perché se mandava un vescovo, (che per il Concordato doveva giurare fedeltà allo stato) voleva dire che riconosceva la repubblichina e i nazi erano legittimati a chiamarci “banditi” e a spararci a vista e ucciderci senza processo. Invece il Vaticano mandò un “amministratore
apostolico” con funzioni di vescovo che non doveva giurare e capimmo che aveva scelto di non riconoscere Salò. Ho accennato a queste minori vicende personali perché vorrei si capisse quanto è utile il libro e quanto è vivo ancora per molti tra noi e quanto istruttivo per chi non abbia vissuto quel periodo. Per sapere e capire come viene formandosi la resistenza, quanto intricato e difficile orientarsi tra le irresponsabili mosse di Mussolini e della dinastia serve davvero la lettura di queste pagine.
Franco ne viene fuori per quel che fu, un crudele puro reazionario, cade ben presto la cornice ideologica della dittatura copiata da quella mussoliniana, inventrice del totalitarismo ed esce solo la crudele e passiva dipendenza dagli eventi. Un dittatore senza nemmeno un po’ di respiro. Ma un dittatore le cui scelte e punti di manovra ancora significano qualcosa (Gibilterra, il Marocco,
le ex colonie) e soprattutto offrirono subito dopo la fine della seconda guerra mondiale una sponda, una quasi decorosa sopravvivenza alle destre.
L’autore è molto attento a sfrondare da qualsiasi orpello le vicende, fa un vero lavoro di scavo storico e vengono fuori le sordide
vicende, gli interessi soprattutto del grande capitale italiano, e i debiti e la miseria scaricata sul popolo. Gli eventi ingloriosi della fase
calante del fascismo e del nazismo si mostrano interi accanto alla spudorata ed egoista passività di Franco, forse anche spiegando perché tanto a lungo siano stati presenti nell’opinione pubblica italiana i giudizi sulla Spagna come paese arretrato e subalterno e poi improvvisamente avanzato e ricco. Ma ciò che più giova alla comprensione degli eventi è l’attenta analisi del peso e intreccio e degli scontri fra le varie forze che si disputano le spoglie, il dittatore teso a garantirsi un futuro, facendo stingere la sua adesione all’Asse,
con una sgusciante e serpentesca “neutralità”, la monarchia, l’esercito, la falange, ciascuno che cerca una via di fuga. Davvero così fu vissuta la vicenda anche da chi era molto ai margini della storia allora, anche noi dall’Italia settentrionale vedevamo i fascisti nascondersi, “lavarsi la camicia” come si diceva, calpestare la “cimice” (era il nome popolarmente dato al distintivo del Pnf), rintanarsi, fare qualche favore a qualche antifascista per garantirsi un futuro ecc. ecc. Di tutte queste minori vicende Carotenuto offre la spiegazione “grande”, storica e ne chiarisce il senso. Un bel modo di “revisionare” su Franco anche le ingannevoli opinioni “favorevoli”: di simile revisione abbiamo bisogno. Anche Mussolini che qui appare nella sua fine miserevole e confusa, fuori dalla realtà e non però degno di qualche grandezza appare in posture meno accomodate di quelle di cui la storiografia anche critica ci ha tramandato l’immagine. Un illuminante modo di rileggere eventi tragici che ancora non hanno finito di pesare sulla storia presente.