La sofferenza ci fa paura, la temiamo tutti. Sì, forse c’è chi è più coriaceo e meno avverte gli stimoli cerebrali che distribuiscono nelle varie parti del corpo la scarica del dolore, ma sono pochi, anche tra le persone che si dotano di una corazza di coraggio, che riescono a combattere i contorcigliati ambiti dell’intromissione di paure, fobie, alterazioni dell’umore e, di più, di squilibri di quella che troppo sovente viene chiamata la “normale” vita di ognuno di noi. C’è stato un tempo, e forse c’è ancora, in cui queste patologie erano etichettate come “malattie mentali”, devianze sociali, casi da trattare in una separata sede rispetto al quotidiano mondo dei civilissimi e normalissimi altri esseri umani. Si prelevava pertanto il “matto” e lo si faceva scortare in una struttura dal nome angosciante: manicomio. Il trattamento della “malattia mentale” era avocato a pratiche come l’elettroschock, la lobotomia ed altri metodi di gestione del paziente del tutto proni alle più severe coercizioni e volti all’annullamento delle volontà su una fase complessivamente violenta, autoritaria e destrutturante ancor di più la già fragile situazione psicologica del soggetto.
In questi giorni è morta Giuseppina F.
Chi era? Una “pazza”, si sarebbe detto un tempo, che passò ben 30 anni della sua vita in manicomio e che ne uscì grazie alla Legge 180, approvata dal Parlamento il 13 maggio del 1978. Questo provvedimento legislativo sarà chiamato, con un semplificazionismo che fa onore a chi l’ha ispirata con la propria opera sociale, “Legge Basaglia”.
Giuseppina F. venne gettata in un manicomio come elemento deteriore della società, uno scarto, giudicato tale da una nuova grande Sparta che si permetteva di attribuire il diritto o meno alla vita in comune se e solo se non si era deformi nel corpo (i “Cottolengo”…) o nella mente. Da Giuseppina nacque un “Progetto” di sperimentazione dell’antipsiachiatria, uno dei tanti, una chiave di lettura alternativa alla saccenza di quei maestri della mente umana che giocherellavano con le teorie del giovane Basaglia e che vedevano in lui, al massimo, un eccentrico e idealista giovane collega.
Invece, a Gorizia, dove divenne direttore dell’Ospedale psichiatrico della città e cominciò da lì la sua rivoluzione. Ai suoi medici ed infermieri impartì da subito una grande lezione di progressismo: “Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone”. Differenziare, dunque, e dare al malato la piena sostanziale autonomia di individuo, non di semplice e indistinta soggettività su cui operare le “cure” sino ad allora inflitte con le camicie di forza, con le scariche elettriche e con la repressione delle malattie, di qualsiasi diversità di una mente dalla maggioranza “sana” delle menti.
Ma c’è un secondo aspetto molto importante su cui Basaglia si sofferma e che studia a fondo. Lo possiamo sintetizzare così: il malato non è un pericolo per la società, un elemento da rinchiudere e da allontanare dal resto del mondo. Al contrario. Il malato è e deve rimanere una persona, una persona con tutti i suoi diritti, con la sua “pazzia” che è l’ordinario contraltare della razionalità. E non deve affatto stupire l’equipollenza tra ragione e follia. Ci sono comportamentalità che sono così soggettive da poter rasentare il comune e stereotipato concetto di “follia”, e ve ne sono altre, invece, da essere incasellate nell’altrettanto comune e stereotipato concetto di “razionalità”.
Una ragione dominante, un regno della ragione è la fine dello spazio dei sentimenti, è la privazione di qualsiasi tentazione all’immaginazione, è il carcere delle idee e delle propensioni alla più bella delle arti della mente: la fantasia. Il pensiero può sempre esistere, ma la fantasia è anche espressione materiale, traduzione artistica in un quadro, in una poesia, in un elemento tangibile e riconoscibile anche dalle altre soggettività. E’, in poche parole, un chiaro effetto dell’elaborazione concettuale unita al sogno, alla trasmigrazione del pensiero fuori dagli ambiti materiali del mondo, è la passione che esce e che non deborda, è il cavalcare sentieri di autodifesa rispetto a ciò che ci circonda e magari ci rende infelici, ci tedia con un noioso “spleen” o ci asseconda giorno per giorno con la monotona ripetitività della vita.
La pazzia come elemento normale, ci dice Basaglia, della mente umana. Un lato della medaglia del pensiero umano. Un lato che non possiamo ignorare e che dobbiamo difendere da chi lo rivorrebbe rinchiuso dietro le sbarre dei manicomi, costretto nelle camicie bianche di forza, o in letti con le sbarre e le cinghie di cuoio. O, peggio, trattato con sadismo attraverso quello sfogo delle nostre insicurezze che è l’afflizione di chi non riusciamo a comprendere, e che tormentiamo perchè non ci mostri i lati più nascosti di quello che siamo, potremmo essere e certamente saremmo se facessimo uscire da noi le nostre paure ed angosce.
Scrive ancora Basaglia: “La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla”. Le stanze squallide di un manicomio sono un biglietto di sola andata per l’inferno quando, come Giuseppina F., ti accorgi che potresti farne a meno, ma che un potere ti tiene rinchiusa lì perchè puoi sembrare “strano” agli altri, alla complessa materia umana dei “normali”, di coloro che si permettono di giudicare chi è pazzo e chi non lo è, chi è un malato mentale e chi no.
Non conosco persona al mondo che non soffra di una qualche schiavitù della mente, da essa prodotta tramite un percorso di vita, è ovvio. Un tic, una anomalia nei comportamenti, una repressione di istinti, una paranoia nascosta o mal celata, nevrosi di mille tipologie che escono allo scoperto in raptus, in scoppi di ira, in atteggiamenti subitanei e altalenanti.
Siamo tutti un pò folli, e forse siamo tutti anche un pò razionali. Basta accettare questa grande lezione di Franco Basaglia per capire e per capirci un pò di più, Per considerare e giudicare meno, per guardare meglio tutti senza lo stupore o la meraviglia di vedere degli alieni intorno a noi, ma solo dei semplici, complicati e sempre uguali esseri umani.