Una partecipazione all’84,6%, che sfiora il tasso record del 1965, cioè della prima elezione diretta del presidente, un risultato «classico» destra contro sinistra, che mette fine al malessere che era derivato dalla non-scelta del 2002, quando la sinistra era rimasta esclusa. Ma un’incognita che resta aperta per il risultato del secondo turno: il centro (18,55%) pesa ormai molto in Francia e farà da ago della bilancia. Il «voto utile» ha funzionato, più a sinistra ma anche a destra. La sinistra radicale affonda e, malgrado il buon risultato di Ségolène Royal (25,83%, quasi 10 milioni di voti), nel suo complesso la sinistra resta debole, al 36%. Nicolas Sarkozy, che arriva ampiamente in testa (31,11%), ha preso voti al Fronte nazionale, che crolla e fa sparire di scena il vecchio leader Jean-Marie Le Pen (10,51%, un milione di voti persi rispetto al 2002).
Per la prima volta, il prossimo presidente sarà di una generazione nata nel dopo-guerra. La Francia volta pagina, Sarkozy e Royal si incontrano su un punto: mettere fine al pessimismo e alla depressione nazionale, per rilanciare il primo il «nuovo sogno francese», la seconda «la Francia che vuole andare avanti», «senza essere brutalizzata».
Destra senza complessi
Nicolas Sarkozy non solo arriva ampiamente in testa, più di quanto si aspettasse, ma ottiene dei risultati migliori di quanto abbia raggiunto Jacques Chirac. Una pagina è definitivamente voltata nella destra francese. Ormai è in piazza una destra senza complessi. La manovra ha funzionato perfettamente al primo turno. Ma rischia di creare delle difficoltà al secondo. Sarkozy, che ha sedotto l’elettorato di estrema destra, punta oggi a tranquillizzare, per attirare gli elettori del centro.
Sarkozy sa che deve evitare che il secondo turno diventi un referendum pro o contro di lui. Già da domenica sera, ha posto i termini del confronto : «Un dibattito dignitoso tra due idee della nazione, due sistemi di valore, due concezioni della politica». Ha sottolineato che «la Francia che sogno è quella che non abbandona nessuno». Sarkozy dovrebbe puntare la seconda parte della campagna sui «valori» – a cominciare dal lavoro, esaltando la Francia di chi «si alza presto» – cercando di unire, ma senza snaturare il suo progetto di società, che è liberista, atlantista, socialmente conservatore.
Sarkozy domenica sera ha fatto una gaffe a causa del suo carattere: è stato ripreso a lungo dalle tv mentre attraversava in macchina Parigi, un’immagine che ha ricordato un po’ troppo la passeggiata in auto di Chirac la sera della vittoria nel ’95. Un’immagine che all’Ump hanno subito cercato di minimizzare, per evitare l’effetto arrogante.
Ségolène audace e tranquilla
Ségolène Royal ha vinto la battaglia interna: ha sotterrato gli incubi della sconfitta del 2002, ha ottenuto un risultato più che onorevole, vicino a quello di François Mitterrand nell’81, nove punti più di Jospin nel 2002 e due di più della somma di Jospin, Chevènement e della radicale Taubira. Ma il problema è che per lei il «voto utile» ha funzionato fin troppo bene: non ci sono riserve di voti alla sinistra della sinistra. Nell’81, il Pcf era al 15%. «Tra quindici giorni – ha detto in tarda serata, dopo aver fatto attendere la prima dichiarazione più di un’ora e mezza sui tempi previsti – la Francia sceglierà il suo destino e il suo volto».
Royal propone la «scelta dell’audacia e della tranquillità». Apre al centro, in linea con la campagna di Bayrou: «Tendo la mano a tutti coloro che pensano come me che non è soltanto possibile, ma urgente abbandonare un sistema che non funziona più». Si rivolge agli elettori della sinistra radicale: «Non sono l’ostaggio di nessun clan, di nessun gruppo di pressione, di nessuna potenza finanziaria. Siamo numerosi oggi, al di là del voto del primo turno, a non volere una Francia dominata dalla legge del più forte o del più brutale, tenuta nella morsa delle potenze del denaro, dove i poteri sono concentrati in poche mani, sempre le stesse».
Ai centristi Royal promette l’apertura verso un’«Europpa socialmente ed economicamente rimessa in piedi». E conclude che vuole «ridare il sorriso» alla Francia.
Una sfinge al centro
Dopo il risultato, è una sfinge. Dirà qualcosa mercoledì, in una conferenza stampa. «Non siamo in vendita», dicono i suoi. François Bayrou, che sognava di essere al ballottaggio, adesso vuol far pesare il suo 18,5%. Il suo obiettivo, a medio termine, è la creazione di un partito democratico, riformista e centrista. Ma i suoi deputati sono preoccupati: a giugno ci sono le legislative e dovranno concludere delle alleanze per farsi eleggere. Tradizionalmente, l’alleanza era con l’Ump. Bayrou aprirà a sinistra? «Non escludo nulla» dice, per il momento. Ma ha giudicato «affliggente» il primo discorso di Royal dopo il passaggio al secondo turno.
Ma Bayrou non è padrone dei suoi voti : il centro, dicono i politologi, al massimo pesa il 10%. Bayrou ha attirato parte dell’elettorato di sinistra, socialista, deluso da Royal e che potrebbe tornare all’ovile al ballottaggio. Ha anche convinto parte della destra, spaventata dalla svolta a destra di Sarkozy. Secondo un sondaggio dell’istituto Csa, il 45% degli elettori di Bayrou dovrebbero scegliere Royal al secondo turno, il 39% Sarkozy e il 16% opterebbe per l’astensione.
Pcf al minimo storico
Il «voto utile» ha segnato la messa a morte della sinistra della sinistra. Ormai, tutti i partitini, da Lo di Arlette Laguiller ai comitati anti-liberisti che hanno sostenuto José Bové, chiedono ai loro elettori di votare per Royal, o almeno, come la Lcr, «contro Sarkozy». Il Pcf è al suo minimo storico, sotto il 2%.
Non è stato solo il voto utile a mettere in difficoltà la sinistra radicale, ma anche la sua eccessiva frammentazione. Bové parla di «spreco elettorale». La Lcr, che è la sola formazione a non perdere voti rispetto al 2002 e a tenere la testa fuori dall’acqua con il 4,3%, accusa il «ricatto del Ps», ma spera che le discussioni per «una politica unitaria» riprenderanno presto a sinistra della sinistra.
«Non ne usciremo con un regolamento dei conti su chi è stato il più stronzo» dice l’assessore alla gioventù del comune di Parigi, Clementine Autain (indipendente comunista). Ma il dialogo sembra bloccato. Le candidature «unitarie» per le legislative restano un miraggio. Le accuse sono rivolte al Pcf, che ha già stabilito liste proprie per le legislative e spera di «salvare il salvabile» a giugno, e alla Lcr sospettata di voler prendere la leadership del movimento unitario. I Verdi si leccano le ferite: Dominique Voynet, che ha preso solo l’1,5%, si consola dicendo che ha fatto meglio di Bové.
La fine del vecchio frontista
Per la prima volta dal 1974, il Fronte nazionale non cresce a un appuntamento elettorale, anzi, ne esce chiaramente sconfitto. Le Pen ha perso in cinque anni un milione di elettori, emigrati verso le terre di Nicolas Sarkozy che difende una destra senza complessi.
Non è detto che coloro che sono rimasti fedeli al vecchio leader frontista votino tutti per Sarkozy il 6 maggio. Molti potrebbero astenersi.