Francia, l’affondo di Bayrou: «Sarkozy imbavaglia i media»

Chi nutrisse ancora dei dubbi sulle simpatie politiche (e personali) di François Bayrou, non deve far altro che ascoltare le ultime dichiarazioni del deputato centrista a riguardo di Nicolas Sarkozy: «Quando dico che ha il gusto della minaccia e dell’intimidazione, affermo una realtà evidente». Intervistato dalla radio privata Rtl, Bayrou ha attaccato senza remore il candidato postgollista, accusandolo di aver esercitato tutto il suo potere lobbistico per fare in modo che l’incontro in televisione tra lui e la socialista Ségolène Royal non avesse mai luogo.
Il dibattito, atteso da milioni di francesi, doveva infatti andare in onda ieri sugli schermi di Canal plus coordinato dai giornalisti della stampa regionale, ma il Csa (l’autority delle telecomunicazioni) lo ha annullato all’ultimo momento con la seguente motivazione: «Viola la legge sulla par condicio, Royal e Sarkozy devono avere a disposizione esattamente lo stesso tempo televisivo». Il faccia a faccia Royal-Bayrou si farà comunque e verrà trasmesso stamattina sui network privati Bmf Tv e radio Rmc-Info (molto meno seguiti di Canal plus), una soluzione intermedia che non interrompe però il fiume di polemiche.
Al di là della discutibile aritmetica che ispira le regole del Csa (che il quotidiano Libération ieri definiva «assurde» perché «privano gli elettori di un loro diritto»), il sospetto che dietro la decisione ci siano le consuete manovre sarkoziste, le pressioni del suo entourage costituito da grandi magnati dell’informazione, è più che legittimo. Tanto più che il socialista Jack Lang ha rivelato che Canal plus avrebbe offerto a Sarko lo stesso tempo di messa in onda per il giorno successivo: «E’ chiaro che i vertici della rete hanno subito delle intimidazioni», affonda l’ex ministro della cultura di Mitterand. Stesse accuse da parte di Vincent Peillon portavoce di Royal, il quale in caso di vittoria della destra prevede «una Francia triste, brutale e ridotta al silenzio dalla censura».
Ma è lo stesso Bayrou ad impiegare le espressioni più dure: «Sarkozy vuole imbavagliare tutta l’informazione francese. Attraverso tutta una serie di reti, vicine alle grandi potenze finanziarie e mediatiche: gli interventi diretti sono compiuti presso le redazioni, presso le reti televisive. Pensate che non è stato ancora eletto, cosa accadrà se diventerà presidente delle Repubblica?», s’inquieta il “terzo uomo” delle presidenziali sui microfoni di Rtl. E le prove? Le prove non servono: «Non ho nessuna prova ne ho semplicemente la certezza, una certezza che si fonda su numerose testimonianze».
Naturalmente il fumantino Sarkozy non ha perso tempo per replicare a questo diluvio di accuse, assumendo la nota postura della vittima: «Contro di me si stanno organizzando processi staliniani. La situazione è molto amara, sono stato colpito, per non dire ferito da frasi ingiuriose che niente hanno a che vedere con il normale dibattito democratico», ha detto ieri in conferenza stampa. Anche se dare dello «stalinista» a un personaggio moderato e dai modi gentili come Bayrou è un esercizio che rischia di sfiorare il ridicolo, Sarko è consapevole che la “massa critica” che si sta accumulando nel Paese, che il cosiddetto “referendum sulla sua persona” è l’elemento che più di tutti può mettere a rischio il previsto trionfo al secondo turno di domenica 6 maggio. E’ una questione di clima e Sarko su queste cose è dotato di un ottimo fiuto. Peccato per il carattere rissoso e suscettibile, che spesso mette in grande apprensione la sua équipe lo spinga più di una volta a rompere la cristalleria. Ieri se ne avuto un pregnante esempio, con Sarko che ha sbattuto la porta in faccia al deputato centrista in modo definitivo: «Non ho bisogno di discutere con Bayrou, il ballottaggio presidenziale si gioca tra due candidati e lui è stato eliminato al primo turno».
Ora che Sarko ha interrotto il dialogo anche con i centristi, non resta che continuare a spingere sull’acceleratore, a insistere su una campagna giocata tutta all’attacco, da vero uomo forte che «non fa compromessi». Ma i sondaggi positivi (ieri l’istituto Bva lo dava in vantaggio 52 a 48%) non bastano a blindare una vittoria che insegue da cinque anni e che se, per puro caso, non fosse confermata dalle urne, potrebbe trasformarsi in una delle più grandi sconfitte della storia repubblicana. Almeno quanto quella che nel 2002 mandò in pensione il socialista Lionel Jospin.