Francia e Iran: due prove di democrazia in controtendenza

Nell’ultimo mese, abbiamo assistito a due importanti eventi democratici in due paesi assai diversi. In Francia, una massiccia partecipazione popolare al referendum sulla Costituzione Europea ha visto prevalere il NO ad un Trattato costituzionale fortemente liberista, disegnato e voluto dalle classi dominanti. In Iran una massiccia partecipazione popolare alle elezioni ha visto prevalere come presidente un candidato alternativo a quello della borghesia più incline al liberismo e alle relazioni con gli USA.

Fin qui sembrerebbe tutto normale, ma nell’epoca della democrazia da esportazione e della guerra preventiva le cose non sembrano così “normali”. Le elezioni o i referendum infatti devono tenersi…ma guai se poi vincono i candidati o gli schieramenti dissonanti.

Il NO francese – un NO fortemente cosciente, partecipato, espressione delle classi popolari e delle forze della sinistra – è stato vissuto e trasformato in Europa come un plebiscito reazionario contro la “modernizzazione” sostenuta dalle ristrettissime elìte dominanti.

Il risultato voto in Iran è stato trasformato dagli USA e dagli europei in una specie di dichiarazione di guerra. A troppi sfugge che il voto iraniano sia stato il voto dei ceti popolari e più poveri di un paese in cui il candidato filo USA (Rafsanjani) avrebbe voluto introdurre le privatizzazioni ed una politica estera subalterna a Washington, certo, Rafsanjani mascherava queste scelte di fondo dietro una apertura alla modernizzazione, con una operazione del tutto simile a quella con cui le classi dominanti in Europa mascheravano il carattere antipopolare e iperliberista della Costituzione Europea.

A Parigi e Teheran dunque ci sarebbe stato uno stop alla “modernizzazione” o un recupero di sovranità dei settori popolari delle rispettive società? A leggere i commentatori di destra e di “sinistra” la chiave di lettura prevalente pare essere la prima, a leggere la realtà ci pare più credibile la seconda, anzi, ci pare sensibilemnte più positiva la seconda. Usare a vanvera le categorie di “regresso nazionalista” (in Francia) o di ultraconservatore (nel caso del nuovo presidente iraniano), serve solo a mistificare la realtà piuttosto che a prenderne atto. I governi e i giornalisti al servizio della “supremazia del modello occidentale” dovranno cominciare ad imparare che la loro democrazia è ormai intesa solo come “dimostrativa” ma non rappresentativa, ragione per cui non persuade più sia nel cuore del sistema (Francia) che alla sua periferia (Iran). Certo possono scegliere, come stanno facendo, di imporla a cannonate ma devono rassegnarsi a subire le conseguenze del rimanere impantanati e sotto tiro come in Iraq e Afganistan (ritenuti arbitrariamente come il Libano paesi dove si sono tenute “elezioni libere”) oppure di perdere la faccia come in Europa eliminando tutti i referendum già previsti sul Trattato costituzionale. La democrazia – il potere del popolo – è una cosa troppo importante e troppo seria per lasciarla ancora nelle mani dei sanguinari mentitori che hanno scatenato la guerra in suo nome.

28 giugno 2005