Nel 2006 è entrato in vigore un Trattato bilaterale di protezione degli investimenti (Tpi) tra Uruguay e Stati uniti e agli inizi del 2007 è stato ratificato tra l’Accordo quadro per il commercio e gli investimenti (Tifa) tra i due paesi. Il prossimo passo sarà un Trattato di libero commercio (Tlc)?
Il dibattito qui in Uruguay è aperto. Il Frente Amplio, coalizione progressista al governo dell’Uruguay dal marzo 2005, sebbene con differenti posizioni interne, sembra favorevole alla strada neo-liberista suggerita da Washington, nonostante la vivace opposizione della società civile.
In passato fu l’Alleanza per il progresso di memoria kennediana, firmata nel 1961 a Punta del Este, che doveva combattere le disuguaglianze sociali del continente latino-americano e servire da alternativa al modello castro-cubano. Oggi, a quasi due decadi dalla fine della guerra fredda, la nuova ricetta per la salvezza del continente è il libero commercio. Dopo il fallimento definitivo nel 2005 dell’accordo di libero scambio su scala continentale, l’Alca, a Mar del Plata, in Argentina, il futuro è rappresentato dagli accordi di libero scambio bilaterali.
Nel 1994 è entrato in vigore il Nafta, fra Usa-Messico-Canada; poi fra il 2003 e il 2006 è stata la volta del Cafta, fra gli Usa e 5 paesi del Centramerica (El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Honduras e Costarica, dove però l’opposizione è riuscita nei giorni scorsi a imporre un referendum popolare sull’accordo) più la Repubblica dominicana. In Sudamerica, sono stati premiati con un Tlc tre alleati fedeli – Cile, Colombia e Perù. Anche Bolivia ed Ecuador erano in lista ma poi con l’arrivo di Evo Morales e Rafael Correa…
Poi c’è l’Uruguay, che in marzo ha ricevuto George Bush durante il suo tour in America latina. Nell’incontro con il presidente socialista Tabarè Vazquez (nella foto) si è parlato di come mettere in pratica il Tifa e inserire l’Uruguay, con le sue coltivazioni di canna da zucchero, nel mega-business degli agro-combustibili che ha per principali protagonisti Usa e Brasile.
Vazquez, celebrando i suoi due anni di governo qualche giorno prima dell’arrivo di Bush a Montevideo, pur ribadendo che l’Uruguay è anti-imperialista, ha rilevato che vi sono elementi sostanziali che lo avvicinano agli Usa. Oltre agli aiuti finanziari del recente passato, specie durante la catastrofica crisi del 2002, il riferimento era agli accordi commerciali in corso.
I beneficiari del Tifa sarebbero i settori bovino, degli ortofrutticoli, dei servizi informaticitici. In relazione ad eventuali interessi geo-strategici nel Cono sud, in una recente intervista alla radio uruguaiana El Espectador, James Nealon, diplomatico dell’ambasciata Usa in Uruguay, esclude che la firma di un Tlc sia legata in qualche misura al controllo della triplice frontiera, zona calda compresa tra Argentina, Brasile, Paraguy, nel mirino perché considerata covo del narcotraffico e del contrabbando e da qualche tempo di «cellule dormienti di Al Qaeda», ma anche e soprattutto perché costituisce uno dei principali accessi alle risorse dell’Amazzonia e del grande bacino acquifero del Guaranì.
Qui in Uruguay non mancano le proteste per questa posizione del governo di centro-sinistra (che per ironia ha i suoi più fervorosi esponenti nei ministri Danilo Astori e Pepe Mujica, ex comunista uno, ex tupamaro l’altro). Oltre alle manifestazioni durante la venuta di Bush, una forte critica viene dalla Commissione nazionale per la difesa della sovranitá. Nata alla fine del 2006, la Commissione è costituita da alcune tra le maggiori organizzazioni della societá civile, tra cui il sindacato storico Pit-Cnt, e mostra un’opposizione secca al Tlc proponendo la ricerca di alternative commerciali che difendano il processo di integrazione regionale, il Mercosur in primis, e la sovranità dell’Uruguay. La Commissione passa in rassegna gli accordi firmati con altri paesi e le conseguenze negative per i settori sensibili, in particolare i lavoratori dipendenti, le piccole e medie imprese ed i produttori rurali. A questo aggiunge i rischi legati alla privatizzazione di servizi – storicamente pubblici in Uruguay – da parte di multinazionali. Per ultimo, ma importante, rileva che l’inserimento della famosa carne bovina uruguayana nel mercato Usa, principale argomento a favore del Tlc, è l’effetto di una congiuntura favorevole e già nel 2006 le esportazioni verso gli States sono cadute di oltre la metà rispetto all’anno precedente passano dal 74% al 35% del totale.
Per di più a giugno scadrà la Fast track, lo strumento votato dal Congresso Usa che dà all’esecutivo piena autonomia nella firma di accordi commerciali. E’ prevedibile che l’attuale Congresso, a maggioranza democratica, difficilmente confermerà il provvedimento imponendo un voto bicamerale per approvare futuri Tlc, con maggiori clausole a favore dei lavoratori e dell’ambiente. Questo potrebbe rendere l’accordo meno indigesto per alcuni settori del governo uruguaiano attualmente contrari al trattato. Da notare che il documento annesso al Tifa Uruguay-USA è molto simile a quello sottoscritto con Tailandia e Bahrein: in entrambi i casi si è poi arrivati a un Tlc… Però Taberé Vazquez deve stare attento perché sa bene che la firma a un Tlc formale comporta l’automatica esclusione dal Mercosud.