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Ancora storditi dalla fine rapida e incruenta di una dittatura, i peruviani hanno sentito, con le elezioni di domenica scorsa, che i 10 anni di Fujimori erano finiti davvero.
Ma le votazioni, che hanno prodotto un nuovo Congresso plurale, non hanno ancora definito il nuovo presidente. Il 20 maggio, l’elettorato andrà di nuovo alle urne per decidere in un secondo turno se a governare il paese per il prossimo quinquennio sarà Alejandro Toledo (36,5% dei voti), idolo delle masse andine e degli economisti neoliberali, o l’ex-presidente populista-socialdemocratico Alan García (25,8%), risultato inaspettatamente secondo.
In questo mese e mezzo fra un turno e l’altro, la società peruviana si permette una pausa di riflessione. La prima, dopo mesi convulsi e ricchi di novità.
Il sociologo e politologo Rolando Ames, che è stato senatore di Izquierda Unida fino al 1990, ricorda come la sinistra istituzionale, lacerata dalle divisioni interne, fu incapace di prevedere gli sviluppi del nascente fujimorismo. Izquierda Unida pagò questa mancanza di visione con la propria scomparsa.
“L’industria nazionale, base e sostento della classe operaia, e l’agricoltura moderna da esportazione, su cui si fondava il sindacalismo contadino, furono demolite da Alan García”, ricorda Ames. “Fujimori diede solo il colpo di grazia. Oggi, quello che è dificile da capire è come mai una figura ormai totalmente ai margini come Alan García sia riuscita a reinstallarsi al centro della scena politica e vada al secondo turno. Non ho visto le statistiche, ma credo che circa un quarto dell’attuale elettorato non votò nel 1985, non ha mai conosciuto García in azione. E’ una gioventù che ha scoperto un leader politico di maggiore qualità rispetto ai contendenti, con molto istinto politico e un’ottima retorica. Alan García appartiene alla scuola dei grandi partiti tradizionali, dove si apprende la politica fin dalla culla”.
Secondo Ames, l’ex-presidente, il cui governo (1985-1990) è stato generalmente considerato disastroso, vive l’emozione di aver risuscitato l’Apra – il più antico partito peruviano – con queste elezioni.
“Alan García sogna di fare della Alianza Popular Revolucionaria Americana, che sembrava condannata all’estinzione, una delle principali forze politiche dell’America latina. Ci pensava già 15 anni fa, ma ora, nel suo lungo esilio parigino, ha rafforzato i contatti con l’Internazionale socialista.”
“Lo scenario che si é creato con queste elezioni – continua Rolando Ames -, non è dei più rassicuranti per chi vuole investire. La forza realmente conservatrice si è rivelata minoritaria in questo paese per i prossimi cinque anni e questo dá poche garanzie al capitale. Chi dice che questi due signori, Toledo e García, non possano mettersi d’accordo per sperimentare un nuovo modello di nazionalismo latinoamericano? Qui, come in molti paesi piccoli dell’America latina, gli investitori stranieri si sono abituati ad imporre le loro condizioni senza nessuna trattativa. Fujimori non negoziava minimamente i termini che gli venivano imposti dagli organismi finanziari. Era una cosa sconcertante per gli stessi funzionari del Fondo monetario internazionale”.
Concedendosi una previsione, Ames vede un Toledo “molto neoliberale” in economia e “progressista per quanto possibile” sul piano sociale, sfruttando il tema del riscatto etnico.
“E’ questa seconda componente che provoca insicurezza nella classe imprenditoriale. E’ una tendenza che può portare le folle in piazza in un paese che ha paura delle masse. La gente gli grida Pachacutec, il nome dello storico fondatore dell’impero incaico. Il timore è che si crei una domanda sociale molto forte su uno stato in crisi e una classe politica debole e contradditoria. Qui in Perù c’è una tremenda povertà. Il 54% della popolazione riceve, in qualche forma, assistenza dallo Stato. L’economia informale, o sommersa, è più importante di quella ufficiale, solo un quarto della popolazione può considerarsi economicamente attiva e integrata in un settore moderno. C’è almeno un 40% dei peruviani che soppravvive in condizioni misere”.
Il fatto che nell’attuale Congresso, uscito dalle elezioni dell’8 aprile, siano predominanti due partiti in qualche modo definibili di centro-sinistra fará aumentare, secondo l’ex-senatore, le rivendicazioni sociali. Il prossimo governo, qualunque sia, avrebbe poche probabilità di risolvere i problemi della popolazione nel breve o nel medio termine.
“Bisogna ricordare – conclude Rolando Ames – che i quadri intermedi su cui si basava la corruzione del passato regime sono ancora lì, non sono scomparsi. Sebbene in questo momento siano inattivi, potrebbero riorganizzarsi e destabilizzare la situazione, se non vengono puniti esemplarmente.”
Pur essendo la grande sconfitta di queste elezioni presidenziali, la candidata Lourdes Flores Nano continua a sorridere come nella campagna elettorale. In fondo la sua Unidad Nacional, un’alleanza delle destre con un nucleo democristiano che l’ha sostenuta, è attualmente la terza forza nel Congresso, dopo Perú Posible – il partito di Toledo – e l’Apra.
Lourdes Flores (24,08% dei voti), che si dichiara “social-cristiana, anti-abortista e di destra”, fa capire che ci riproverà fra cinque anni. E, se ci saprà fare, potrà essere la prima presidentessa del Perú. Per ora si dedicherà a promuovere il suo partito in tutte le elezioni municipali del prossimo periodo, per conquistare presenza nelle 194 provincie del Perú.
Come analizza il suo risultato elettorale?
“Sfortunatamente, c’è stato un travaso finale di voti che erano originariamente di Toledo ma sono andati a finire ad Alan García – dice -. Io sono rimasta stabile fino all’ultimo, sul mio 24%. Attribuisco il mio slittamento al terzo posto a due fattori: alla campagna diffamatoria che mi accusava di complicità con il regime di Fujimori e Montesinos, che in realtà ho sempre avversato, e al fatto che Alan García ha saputo toccare alcune fibre molto sensibili dell’elettorato. Ad esempio, ha assicurato alla gente che non aumenterà le tariffe dell’elettricità”.
E’ vero che lei, in un dibattito televisivo, non ha saputo dire il prezzo del pane?
“E’ vero – ammette ridendo -. Sicuramente è stato un mio errore quello di non voler ingrandire alcuni sbagli commessi durante la campagna. La stampa, al contrario, li ha ingigantiti e questo mi ha pregiudicato. Ho la netta impressione che i poteri reali non stavano dalla mia parte”.
Lourdes Flores nega di voler essere il prossimo sindaco di Lima, come si sta cominciando a pensare:”Appoggerò sicuramente la candidatura del dottor Luis Castañeda Lossio, che è una persona molto capace – dice -. Quanto a me, penso di organizzare il movimento, lavorare nella società, di prepararmi nei prossimi cinque anni”.
Le chiediamo se prima del 20 maggio prenderà posizione a favore di uno dei due contendenti portandogli i suoi voti? “Aspetteremo la prossima settimana per prendere questa decisione – risponde -. E’ chiaro che parteciperemo a questo secondo turno, non resteremo ai margini e assumeremo un ruolo attivo. Ma non sappiamo ancora se appoggeremo uno dei due candidati o daremo solo un’indicazione di linea. La prossima settimana sarà decisiva per definire la nostra strategia politica”.
Che cosa non la convince del candidato Toledo e che le dispiace del candidato Alan García?
“Toledo è un po’ troppo inorganico, è molto erratico. Oggi dice una cosa, domani un’altra. E Alan García pretende di risolvere la situazione economica a colpi di populismo. La sua presidenza è stata un vero disastro. E’ un po’ come dover scegliere fra il cancro e l’Aids. Siamo fra due mali, ma è quello che ha scelto il popolo.”
Per Lourdes Flores, il fujimorismo avrebbe potuto essere un progetto di ricostruzione nazionale, ma avrebbe dovuto imporsi un termine e non farsi trascinare dall’ossessione di perpetuarsi nel potere. Invece, finí per diventare un regime che alimentò e protesse una grande corruzione.
Acuto analista del Perú contemporaneo, Aníbal Quijano ha definito il concetto di choledad: una nuova realtà in formazione, scaturita dalla cultura indigena e da quella occidentale, senza appartenere all’una o all’altra.
Come spiega l’inaspettata e irresistibile ascesa dell’ex-presidente Alan García?
“Tutti si domandano: come è possibile che quest’uomo sia arrivato al secondo turno? L’argomento di molti è che il popolo peruviano non ha memoria e lo attribuisce anche al fatto che García è un mago del discorso, una specie di incantatore di serpenti. Ma io credo che la gente, in un paese come il Perú, è molto eterogenea. C’è una parte della popolazione che, giudicando a posteriori, non è stata beneficiaria ma neanche vittima del governo di Alan García. Si tratta di gente che ha sperimentato un forte peggioramento negli ultimi dieci anni e che, alla fine degli anni Ottanta, perlomeno aveva lavoro e una fonte fissa di reddito, per quanto modesta. La classe medio-alta peruviana è sempre stata anti-aprista e, a suo tempo, anti-García e lo sarebbero stati comunque, anche se il suo governo fosse stato un successo. Ma, dalla classe media in giù, vasti strati hanno ricevuto benefici in quel periodo, malgrado la forte inflazione.”
Quijano chiarisce che in queste elezioni non si è sentito rappresentato da nessun candidato, già dal primo turno. Dice che Lourdes Flores rappresenta “la parte più anti-lavoro del capitale”, che Alejandro Toledo ha cambiato via via il suo discorso elettorale e Alan García si è dimostrato pentito, arrendendosi alle esigenze del capitale più retrivo. Ai tempi di Alan García, ricorda Quijano, la destra arrivava si e no al 10% dei voti e la competizione era tutta fra l’Apra e una sinistra all’opposizione, che si diceva socialista ma era sostanzialmente socialdemocratica.
Grazie a una politica economica che abbassava i tassi di interesse, manteneva alto il cambio con il dollaro e aumentava i salari al ritmo dell’inflazione, i primi due anni di Alan García conobbero una crescita del 9% e furono applauditi da imprenditori, sinistra e lavoratori contemporaneamente. Era la prima volta che in Perú non c’era opposizione. Ma, malgrado il modello cominciasse a fare acqua da tutte le parti, la popolarità di Alan García, che utilizzava un discorso nazionalista e anti-imperialista ma pagava molto più debito estero del suo predecessore conservatore Belaunde Terry, continuò per un po’.
“Nel giugno del 1986, la strage di centinaia di senderisti che si erano sollevati nelle carceri della capitale, non fu denunciata neanche dalla sinistra. Fu solo l’anno dopo, nel luglio 1987, quando Alan García congelò i conti bancari per frenare la fuga di capitali, che il suo governo entrò in guerra contro il padronato e cominciò a perdere popolarità. Per distruggere il governo di Alan García, il capitale nazionale, che è sempre stato predatorio, distrusse la economia peruviana. Lì lui perse una guerra che non avrebbe mai dovuto iniziare”.
Secondo Quijano, dopo l’iper-inflazione che provocò in quegli anni, per Alan García sará molto difficile convincere il capitale finanziario della bontà del suo attuale progetto di governo.
Dopo una campagna estenuante, il cholo Toledo è andato a passare le vacanze di Pasqua a Santo Domingo. Alan García, soprannominato Caballo loco, cavallo pazzo, negli Ottanta, dá giornalmente conferenze stampa in cui viene presentato come “il presidente García”, non si capisce bene se in riferimento alla sua passata presidenza o alla prossima. I peruviani continuano a discutere, in attesa del 20 maggio, sulla magra scelta che ha prodotto la libertá ritrovata.